Guang-Zhong Yang, scienziato specializzato in robotica medica alla Shanghai Jiao Tong University, con numerose collaborazioni nel mondo.
In una società trasformata dal coronavirus, i robot potrebbero fornire un apporto importantissimo. Per questo, gli scienziati concordano sul fatto che occorrerebbe maggiore convinzione nell’investire sulla ricerca in questo settore.
di Giovanni Invernizzi
Sono bastate poche settimane dell’epidemia di Covid-19, a cavallo di febbraio e di marzo, per rovesciare completamente il nostro mondo. Tutto quell’insieme di sicurezze, di tranquillità, di affetti che ci rendeva la vita così bella e piacevole, almeno per noi che abbiamo avuto la fortuna di essere nati e cresciuti in un paese come l’Italia, ora d’improvviso non esiste più. Al piacere di stringerci ai nostri cari e di incontrarli nei pranzi domenicali si è sostituito l’obbligo del distanziamento sociale. La certezza che gli ospedali fossero luoghi efficienti a cui affidare la nostra salute lascia ora spazio al timore che diventino i principali centri di contagio, dove neppure il nostro prezioso e valoroso personale medico e sanitario riesce a sottrarsi all’infezione.
Con i robot di telepresenza, come il GoBe prodotto dalla danese Blue Ocean Robotics, è possibile essere in ufficio anche restando a casa.
DOPO COVID-19
In molti concordano nel dire che probabilmente avremo un mondo prima di Covid-19 e un mondo dopo Covid-19. E forse, in questo nuovo mondo a cui andremo incontro, se avremo ancora le risorse economiche e morali per risollevarci, i robot potranno avere un peso molto maggiore nelle nostre vite di quello che hanno avuto finora. La comunità scientifica ne è convinta. “Science Robotics”, la più autorevole rivista sulla ricerca in ambito robotico, è uscita nel numero del 25 marzo 2020 con un editoriale, firmato dagli scienziati che compongono il suo Advisory Board, dal titolo “Combating Covid-19 – The role of robotics in managing public health and infectious diseases” (e, cioè, “Combattere il Covid-19 – il ruolo della robotica nel gestire la salute pubblica e le malattie infettive”). Tra le 13 firme anche Guang-Zhong Yang, fondatore della rivista e specializzato in robotica medica alla Shanghai Jiao Tong University, e il nostro Paolo Dario, fondatore dell’Istituto di Biorobotica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, di cui pubblichiamo una ricca intervista in un Osservatorio di questa home page.
QUATTRO AZIONI FONDAMENTALI
Nell’editoriale gli Autori spiegano come nel 2015, quando ci fu l’epidemia di Ebola, l’Ufficio per la Politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca e la National Science Foundation degli USA identificarono tre campi d’azione in cui i robot potrebbero rendersi molto utili: assistenza medica, per esempio attraverso la telemedicina e la decontaminazione; logistica, con il trasporto e il trattamento di rifiuti contaminati; sorveglianza, attraverso il monitoraggio del rispetto della quarantena. L’epidemia di Covid-19, si legge su “Science Robotics”, “ha introdotto ora una quarta area d’azione: la continuità del lavoro e il mantenimento delle funzioni socioeconomiche. Covid-19 ha colpito la capacità produttiva e l’economia in tutto il mondo. Ciò evidenzia il bisogno di fare più ricerca sulla capacità di utilizzare i robot per un vasto campo di applicazioni che richiedono abilità di manipolazione ad alta precisione, dalla produzione industriale al controllo remoto di impianti per la produzione di energia o per il trattamento dei rifiuti”.
Stevie, sviluppato dal Robotics and Innovation Lab del Trinity College di Dublino, in Irlanda, è un robot appositamente studiato per l’assistenza agli anziani. La prestigiosa rivista “Time” gli ha perfino dedicato una copertina nell’ottobre del 2019.
IMPIEGHI SÌ, MA LIMITATI
Ma a che punto siamo con questi sviluppi? Le tecnologie sono mature, ma al momento testate soltanto in via sperimentale. In Cina, per esempio, durante l’epidemia sono stati utilizzati sistemi robotici di vario tipo, da quelli per la misurazione della temperatura negli aeroporti ai sistemi di controllo nelle strade per il controllo del rispetto della quarantena (come, per esempio, nelle strade di Tunisi). Ma si tratta di impieghi in zone ristrette, esperimenti e casi di studio più che applicazioni realmente riproducibili su larga scala.
SFRUTTARE IL MOMENTO
In una teleconferenza stampa internazionale, lo scorso 25 marzo 2020, due Autori dell’articolo uscito su “Science Robotics” hanno risposto alle domande della stampa internazionale: il già citato Guang-Zhong Yang e Howie Choset, professore di informatica alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh, negli USA. Ne sono emersi spunti assai interessanti.
“Una cosa che succede in modo ricorrente quando si verificano epidemie”, ha detto Guang-Zhong Yang, “come quella di Ebola di qualche anno fa, è che mentre sono in corso c’è una grande attenzione e una grande spinta per l’adozione di sistemi robotici. Tutti mostrano grande interesse. Ma poi, quando l’emergenza si risolve, questa spinta si esaurisce. E ogni volta che un’epidemia si ripresenta noi veniamo sorpresi nel momento in cui siamo meno preparati. Questo ci deve servire da lezione e portarci a uno sforzo orchestrato e congiunto per supportare lo sviluppo dei robot che potrebbero essere utilizzati in queste emergenze”.
APPLICAZIONI SEMPLICI
Guang-Zhong Yang durante il picco dell’epidemia in Cina era negli Stati Uniti e ha dovuto rientrare a Shanghai per lavoro, dove ha effettuato 14 giorni di quarantena in un hotel. “Mi venivano a controllare la febbre due volte al giorno”, ha detto, “ma soprattutto, quello che più mi ha colpito come robotico e che si è rivelato anche un’esperienza molto particolare, è che il cibo che ordinavo mi veniva portato da un piccolo robot, che quando arrivava alla porta della mia camera mi chiamava al telefono per chiedermi di aprire e di ritirare il pasto”.
Inoltre, ha proseguito lo scienziato cinese, ci sono molte tecnologie mature che possono trovare impiego e che dovremmo utilizzare di più. “C’è per esempio un robot danese che impiega luce ultravioletta per disinfettare le superfici, qualcosa di molto utile con il virus di Covid-19 che, è stato dimostrato, può sopravvivere a lungo su determinati materiali”. Il dispositivo in questione è lo UVD Robot dell’azienda danese Blue Ocean Robotics, distribuito in Italia da Nanutech e già testato da alcuni nostri ospedali.
Il robot di pattugliamento e controllo del rispetto della quarantena visto a Tunisi durante il periodo di lockdown imposto nella città nordafricana.
NAVIGAZIONE AUTONOMA
Il distanziamento sociale, una misura fondamentale per portare il contagio a un livello controllabile e sostenibile per i sistemi sanitari, si renderà necessario ancora a lungo, osserva Yang, e ci costringerà a rivedere interamente il modo con cui concepiamo l’attività nelle aziende. In questo i robot possono avere un ruolo importante, per esempio nella logistica, spostando oggetti o componenti da un luogo all’altro delle aziende e riducendo al minimo il contatto ravvicinato tra le persone. “Questi robot”, osserva Yang, “si basano, come quelli che rilevano la temperatura negli aeroporti, su sistemi di navigazione autonoma basati su tecnologie SLM, Self Localization Mapping (cioè di mappatura di auto-localizzazione), che consentono loro di interpretare l’ambiente, muoversi aggirando ostacoli e cose del genere. Sono già ampiamente usati nell’industria con i cosiddetti AGV (Autonomous Guided Vehicles, veicoli a guida autonoma)”.
CHIRURGIA ROBOTICA
Un ambito applicativo di interesse, secondo Yang, è quello della robotica chirurgica, su cui esiste un acceso dibattito riguardo ai costi di esercizio e la reale utilità. “Ma”, nota lo scienziato, “oggi vediamo quanto alto sia il rischio dei sanitari che lavorano nei reparti di terapia intensiva a stretto contatto con i malati di Covid-19, altamente contagiosi. Io mi occupo specificamente di robotica chirurgica e mi piacerebbe vedere uno sviluppo più intenso e anche un utilizzo maggiore in situazioni come questa, per evitare il contatto diretto dei chirurghi con i pazienti. Non credo che siamo già pronti per questa emergenza, ma spero che il nostro sforzo collettivo ci faccia trovare preparati la prossima volta”.
Altri campi applicativi dei robot possono riguardare l’analisi delle superfici, per verificare l’eventuale presenza del virus, o l’effettuazione dei tamponi nasali o orofaringei, evitando quindi il contatto di operatori con potenziali portatori del virus, anche asintomatici. “Credo che il nostro sforzo”, ha osservato Yang, “debba essere indirizzato a migliorare queste tipologie di robot, che già esistono, per renderli più piccoli, più agili, meno costosi e, quindi, favorirne la diffusione”.
L’interno della Casa Domotica di Peccioli, il laboratorio creato dall’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa in cui vengono sviluppati robot domestici, in particolare per l’aiuto alle persone anziane, la categoria più colpita dall’epidemia di Covid-19.
PRESENZA A DISTANZA
Un altro utilizzo ancora è quello dei robot di telepresenza, che possono essere per esempio impiegati per il controllo remoto delle persone anziane, ma anche per effettuare operazioni a distanza, aiutare in situazioni semplici come ricordare l’orario per prendere le medicine o verificare la presenza di segni vitali in caso di caduta, di malore o anche semplicemente durante il sonno.
A questo proposito, è importante ricordare come l’Italia ospiti, a Peccioli, in provincia di Pisa, un laboratorio unico al mondo nello sviluppo di robot di questo tipo, creato dall’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Si tratta dell’Assistive Robotics Lab, meglio conosciuto in paese come Casa Domotica. Una struttura in cui i ricercatori collaborano con gli abitanti del paese nello sviluppo di soluzioni pensate soprattutto per aiutare la popolazione anziana.
“Robot come questi”, dice Yang, “si rivelano utili non soltanto per svolgere funzioni materiali ma anche per rimediare, attraverso la comunicazione e il contatto a distanza, a quel senso di isolamento e di solitudine che la quarantena impone, e quindi dimostrano di essere utili anche per accrescere l’interazione sociale tra le persone”.
SFIDE ROBOTICHE
Una delle proposte lanciate dalle firme dell’editoriale di “Science Robotics”, alla luce di quanto sta succedendo ora con Covid-19, è di organizzare delle sfide, le cosiddette “challenge robotiche”, in cui gruppi di ricerca entrino in competizione tra loro per sviluppare soluzioni a problemi concreti. La storia della ricerca in questo settore è costellata di esempi di questo tipo, attivati per esempio dalla Darpa, il Dipartimento per la difesa degli Stati Uniti, ma anche dall’Unione Europea. La formula ha il merito di stimolare i centri di ricerca allo sviluppo di casi funzionanti in scenari reali e di mettere a punto robot che, durante emergenze come questa, possano essere messi in campo il più rapidamente possibile. “Del resto”, osserva Yang, “lo sviluppo di soluzioni che siano realmente efficaci ed economicamente sostenibili va fatto preferibilmente quando non ci troviamo nel cuore di un’epidemia, come ora, ma quando la pressione si allenta e i sistemi sanitari non sono così sotto pressione”.
L’idea potrebbe essere, secondo Yang, lanciare sfide di questo tipo ogni due anni. E lavorare affinché ci sia uno sforzo globale di tutta la ricerca per mettere in pratica iniziative di questo tipo per lavorare in modo più coordinato. ©WE ROBOTS
Un robot Nao, di SoftBank, impiegato come concierge in un hotel durante un test condotto qualche tempo fa dalla catena Hilton.