Per sei lavoratori italiani su dieci l’emergenza sanitaria ha avuto un impatto negativo sul proprio lavoro e il 62% (otto punti in più della media globale) teme di perdere il posto se la situazione economica del datore di lavoro sarà influenzata dalla crisi.
Un timore che in Italia coinvolge soprattutto i lavoratori più giovani (84% fra i 18 e i 24 anni e 69% tra i 25 e i 34 anni contro il 46% degli over 55) e che registra le percentuali più basse in tutte le nazioni europee: fra i paesi analizzati, infatti, risulta più diffuso soltanto in Cina (63%), Hong Kong (66%) e India (78%).
In caso di perdita del posto, più di metà dei dipendenti ripone fiducia nel datore di lavoro per essere aiutato a ricollocarsi (52%) o nel governo per avere un sostegno finanziario o nella ricerca di un altro impiego (54%). La fiducia nel governo è cresciuta dell’8% rispetto alla precedente rilevazione di marzo, ma resta ancora 13 punti sotto alla media globale, al penultimo posto fra i paesi analizzati, davanti al solo Giappone (36%).
Oltre alle difficoltà per le imprese e all’insicurezza dei lavoratori, il Covid-19 ha però anche accelerato la diffusione di soluzioni digitali e di modelli di organizzazione del lavoro più evoluti. Secondo la maggioranza dei dipendenti, infatti, l’azienda in cui lavora sta offrendo aiuti che permettono l’adattamento alla nuova situazione lavorativa tramite investimenti in nuove tecnologie e soluzioni digitali (62%), il rifornimento degli strumenti necessari per il lavoro da casa o da un altro luogo al di fuori dell’ufficio (59%) e la messa a disposizione di piani di formazione su strumenti e competenze digitali (61%).
Sono numeri ancora inferiori alla media globale e ai risultati dei paesi più avanzati sul digitale, ma evidenziano come le imprese stiano reagendo positivamente all’emergenza. E i lavoratori mostrano la stessa reattività: il 70% afferma di essersi adattato alla nuova situazione lavorativa, mentre l’80% si sente pronto alle nuove modalità di lavoro digitale.
È quanto emerge dall’ultima edizione del Randstad Workmonitor, l’indagine sul mondo del lavoro di Randstad – operatore mondiale nei servizi HR – condotta a maggio in 15 paesi del mondo su un campione di oltre 400 lavoratori di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione, che lavorano almeno 24 ore alla settimana e percepiscono un compenso economico per questa attività. La ricerca ha analizzato l’impatto del Covid-19 sul mondo del lavoro e le reazioni di imprese e lavoratori alla situazione di emergenza.
“L’emergenza Covid-19 ha portato una nuova normalità, costringendo le imprese a riorganizzare rapidamente attività e modalità di lavoro e generando insicurezza nei lavoratori. La crisi ha imposto un’accelerazione sul fronte della digitalizzazione e di modelli organizzativi più agili e ci vorrà del tempo per completare la transizione alla nuova realtà, ma i risultati del Workmonitor sono incoraggianti”, afferma Marco Ceresa, AD Randstad Italia.
“Le imprese stanno aumentando gli investimenti in soluzioni digitali e in formazione per mettere i lavoratori nelle condizioni di adattarsi alla nuova realtà lavorativa e cresce anche l’attenzione al benessere emotivo dei dipendenti (indicata dal 70% del campione) e al work-life balance (69%)”, conclude Ceresa.
Marco Ceresa, AD di Randstad Italia.