Arabnia all’ingresso del Campus Pippo Neri, l’area di Geico dedicata alla formazione. Alle sue spalle la gigantografia del nonno, fondatore dell’azienda. Nella foto di anteprima: Daryush Arabnia, Presidente e CEO di Geico.
Daryush Arabnia è Presidente e CEO di Geico, leader nel settore della verniciatura delle scocche delle auto, ma anche esempio di azienda familiare che ha tenuto dritta la rotta attraverso grandi trasformazioni. Un prototipo d’impresa 5.0.
di Riccardo Oldani
Sostenibile, resiliente, umanocentrica. L’azienda manifatturiera del futuro dovrà essere tutte queste tre cose. Lo indica anche la Commissione Europea, che negli ultimi anni ha lanciato una serie di iniziative per promuovere il concetto di “industria 5.0”: un’organizzazione produttiva basata non solo sullo sviluppo tecnologico e sull’automazione, ma anche strutturata per affrontare con successo le trasformazioni del mercato, ridurre sempre più consumi e impatti dei processi produttivi e porre l’essere umano al centro della propria attività valorizzandolo e formandolo.
Esistono già in Italia imprese che vantano queste caratteristiche? Certamente. Una di queste è Geico, player di livello mondiale nella realizzazione e progettazione di impianti automatizzati chiavi in mano per la verniciatura delle scocche automobilistiche. Geico è azienda ben nota in Italia non solo per il suo valore tecnologico, ma anche per le sue illuminate politiche di gestione e di valorizzazione del proprio patrimonio umano, promosse da Ali Reza Arabnia, a lungo alla guida dell’azienda, e ora portate avanti con convinzione dal figlio Daryush.
E proprio Daryush Arabnia, il CEO di Geico, abbiamo incontrato negli uffici dell’azienda a Cinisello Balsamo, alle porte di Milano.
Il Pardis Innovation Centre, centro di ricerca e sviluppo di Geico dove nascono tutti i grandi progetti dell’azienda: 3.600 m2 con oltre 40 prototipi funzionanti con tecnologie a fonti rinnovabili.
Nella vicenda imprenditoriale di Geico la “resilienza”, uno dei pilastri della cosiddetta transizione 5.0, si è tradotta in capacità da parte della famiglia fondatrice di non perdere mai il controllo dell’azienda, anche nelle più delicate fasi di passaggio e di cambiamento del mercato. Perché avete scelto questa strada? Altre realtà italiane a un certo punto non hanno esitato a cedere il controllo a gruppi stranieri. Come mai voi non lo avete fatto?
Per capirlo bisogna ripercorrere la nostra storia. Siamo nati nel 1963 come Neri & Mandelli, una realtà che operava nel settore del “bianco”, cioè degli elettrodomestici. Giuseppe (Pippo) Neri era mio nonno, un abile imprenditore e un grande appassionato di mare e navigazione. Presto l’azienda entrò nell’orbita di Drysys, divenuta dopo qualche anno Haden, colosso mondiale della verniciatura delle scocche in ambito automotive, e iniziò il percorso nel settore dove opera ancora oggi. L’Italia, alla fine degli anni Sessanta e agli inizi degli anni Settanta, contava molti produttori nel settore dell’auto e Drysys cercava un operatore in Italia. Mio nonno cedette il 70% al gruppo, che aveva un management Usa. Negli anni Settanta, però, la crisi petrolifera cambiò il mercato e si profilò la cessione dell’azienda da parte del gruppo. Nacque allora la Gecofin, la holding finanziaria di famiglia, che ancora oggi rispecchia la nostra filosofia. Uno strumento che consentì nel 1976 a mio nonno di riacquisire le quote, per preservare l’attività. La nascita di Gecofin rappresenta il primo atto da “giardiniere” compiuto dalla nostra famiglia nei confronti dell’azienda. Questa immagine era spesso evocata da mio padre per spiegare che cosa deve essere, in fondo, un imprenditore. “Un giardiniere”, appunto, “ben consapevole di non essere immortale, ma che deve lavorare per l’immortalità dell’azienda”.
In che modo la famiglia Arabnia/Neri è stata “giardiniere” di Geico?
Tramandando di padre in figlio questo impegno. Mio padre, per esempio, acquisì il controllo di Gecofin nel 1995, dopo la morte di mio nonno, e quindi anche le quote di maggioranza di Geico. Aveva sposato la figlia di Pippo, Laura Neri, mia madre, e fino ad allora si era occupato di un’altra azienda di successo. Proprio in quel periodo cominciava ad affermarsi un nuovo concetto in ambito automotive: affidare la realizzazione della fabbrica dell’auto a un unico grande contractor. Geico si occupava del solo reparto di verniciatura e necessitava di trovare un partner per andare incontro a questa esigenza. Lo trovò in Comau, che si occupava degli altri tre reparti della fabbrica (stampaggio, saldatura, assemblaggio), con cui siglò un accordo nel 1996.
Qualche anno dopo lo scenario mutò nuovamente. Il gruppo Fiat iniziò a liberarsi di una serie di attività che non riteneva più prioritarie e nel 2005 Gecofin decise di riacquistare le quote dell’azienda per avviare un nuovo corso. La crisi successiva al 2008 portò a un’ulteriore trasformazione. Serviva un nuovo partner di peso, perché i brand automobilistici iniziavano a commissionare gli impianti di verniciatura solo a gruppi con un grande peso finanziario alle spalle. Noi eravamo piccoli, quindi ci accordammo con il gruppo giapponese Taikisha, per costituire, nel 2011, l’Alleanza GeicoTaikisha. Ora le cose sono cambiate nuovamente. Nel 2022 Gecofin è tornata a controllare la maggioranza di Geico, con un’operazione conclusa definitivamente nel 2023. Perché tutti questi passaggi? Qual è stato il loro scopo? È molto semplice. Le strategie, gli accordi, i cambiamenti di un’azienda devono sempre essere impostati a seconda del momento storico, con l’obiettivo del maggior successo possibile e della continuità operativa. Non importa far parte di un grande gruppo o essere indipendenti, ma conservare sempre lo spazio per riacquisire il controllo della propria azienda in caso di necessità.
“La creatività che porta all’innovazione scaturisce solo dall’equilibrio tra i due emisferi dell’intelligenza umana, analitico ed emotivo”, dice il CEO di Geico nel Giardino dei Pensieri di Laura, luogo dedicato a eventi culturali e ricreativi.
Quanto è importante l’innovazione per far crescere un’impresa?
L’innovazione conta, ma non è necessariamente la risposta. L’obiettivo primario di un’azienda è fare profitto, con il quale, poi, si decide che cosa fare, se reinvestirlo nell’azienda o redistribuirlo agli stakeholder. Senza profitto non si può fare nulla. E questo è un concetto che non è sempre chiaro, forse anche per una confusione indotta dalla borsa statunitense, dove vediamo aziende che raccolgono miliardi di finanziamenti e sono valutate tantissimo anche senza aver prodotto profitti.
Detto questo, l’innovazione è comunque lo strumento più potente per portare un’azienda al successo, ma deve creare valore al cliente. Lo sviluppo di un oggetto o di una soluzione rivoluzionaria, ma che non si può vendere al prezzo giusto sul mercato, non genera successo.
La sostenibilità, secondo voi, può diventare un valore per il cliente?
Certo, e lo dimostra il nostro percorso. In uno dei vari passaggi che hanno contraddistinto la storia della nostra azienda commissionammo una ricerca per capire quale fosse l’aspetto più impegnativo dei nostri prodotti per i nostri clienti. Capimmo che l’OPEX, cioè il costo di gestione più elevato di un impianto di verniciatura, sono le bollette. All’epoca si consumavano circa 900 kWh per scocca prodotta e non si prestava molta attenzione a questo aspetto. Noi approfondimmo il tema e ci accorgemmo che si sarebbero potuti risparmiare milioni ogni anno riducendo i consumi di energia. Fu in quell’epoca che nacque il progetto Pardis e tutto il percorso di innovazione che ci ha portato a raggiungere livelli di consumo molto inferiori a quelli iniziali, intorno a 270 kWh per scocca prodotta. L’obiettivo era alimentare il processo esclusivamente con energia da fonti rinnovabili. Avviato nel 2005, il Pardis Project, come lo chiamammo, fissava al 16 giugno 2020 il traguardo finale, l’Energy Independence Day, giorno simbolico in cui la verniciatura delle scocche sarebbe diventata virtualmente a zero consumo di fonti fossili. L’obiettivo fu poi raggiunto con ben tre anni di anticipo, nel 2017. La svolta verso la sostenibilità di Geico nasce quindi non soltanto dalla volontà di fare qualcosa di positivo per la collettività, ma anche e soprattutto dall’idea di sviluppare una soluzione vendibile, produttiva e conveniente per i clienti.
Un angolo del Giardino dei Pensieri di Laura, luogo deputato a coltivare la sfera emotiva delle persone che lavorano in Geico, e curato personalmente dalla madre di Daryush Arabnia, Laura Neri.
Il terzo caposaldo della transizione 5.0 consiste per le aziende nel porre la persona al centro dell’attività, valorizzandola e consentendole di esprimere appieno i propri talenti. Voi come perseguite questo obiettivo?
La nostra idea è che la creatività che porta all’innovazione scaturisce solo dall’equilibrio tra i due emisferi dell’intelligenza umana, quello analitico e quello emotivo. Ma se la preparazione tecnica è abbastanza semplice da coltivare in un’azienda di progettazione ingegneristica come la nostra, scegliendo personale ad hoc e con un’opportuna formazione, non è altrettanto facile attivare l’intelligenza emotiva, e cioè fare in modo che le nostre persone, i cui cervelli sono la nostra principale risorsa, siano pienamente coinvolte nelle attività dell’azienda e vi partecipino. Spesso si tratta di far dialogare tra loro neolaureati assunti da pochi giorni e persone di lunga esperienza, che lavorano con noi da decenni. Vuol dire mettere in sintonia visioni del mondo, preoccupazioni, pensieri anche molto distanti e fare sentire tutti non soltanto coinvolti ma anche stimolati ad aprirsi, a condividere. Per fare questo occorre unire all’innovazione tecnologica anche l’innovazione culturale, l’unica forza capace di dare la spinta per immaginare nuove strade per progettare, realizzare nuovi prodotti e proporli ai nostri clienti.
Come ci riuscite?
Abbiamo immaginato varie strade. La stessa suddivisione in aree dell’azienda rispecchia la distinzione tra le due sfere dell’intelligenza umana. La parte analitica accoglie gli uffici, le sale per le riunioni, gli spazi della nostra Academy, il Campus Pippo Neri. La parte emotiva viene stimolata nel Giardino dei Pensieri di Laura, ricchi di simbologie che rimandano alla cultura persiana. È un grande spazio, con tanti angoli in cui creare eventi e situazioni diversi: il ristorante, il calcetto, il pianoforte, la biblioteca, la fontana, l’anfiteatro per le riunioni generali ma anche per gli spettacoli, una mostra interna che viene periodicamente rinnovata, la palestra, il “bosco”, popolato di piante tutte diverse per simboleggiare la diversità e l’inclusione.
Per la formazione, per esempio, la nostra Academy realizza corsi della durata di almeno un semestre, in grado di lasciare una vera impronta su chi li frequenta. Abbiamo poi costruito una piattaforma simile a Netflix, da cui si può accedere a lezioni suddivise in quattro categorie. Quelle di “citizenship” spiegano le basi dell’attività dell’azienda che devono essere note a tutti, anche a chi non ha ruoli diretti nella progettazione o nella produzione. C’è poi una parte di “leadership”, una di “hard skills”, per imparare a usare gli strumenti tecnici del nostro lavoro, e infine l’“osservatorio” che raccoglie temi di cultura generale, anche documentari che riteniamo utili per la nostra formazione. Alla piattaforma è demandata tutta la parte degli insegnamenti teorici, mentre i laboratori pratici e di gruppo vengono realizzati in azienda.
“L’innovazione è lo strumento più potente per portare un’azienda al successo, ma deve creare valore al cliente. Una soluzione rivoluzionaria, ma che non si può vendere al prezzo giusto sul mercato, non genera successo”.
È in questo modo che “coltivate” l’intelligenza emotiva?
Non solo. Organizziamo anche molti eventi, uno al mese. Per esempio, il “Terzo Tempo”, un aperitivo a tema, oppure le “Teasing Night”, incontri culturali a cui invitiamo personaggi di spicco. Abbiamo avuto Giovanni Allevi, Fabio Caressa, Paolo Rossi quando ci furono i mondiali di calcio in Brasile, Milena Gabanelli, Beppe Severgnini, solo per citarne alcuni. Un altro evento che organizziamo periodicamente si intitola “Cultura e Valori”, con domande anonime che i dipendenti rivolgono all’azionista dell’azienda, mio padre, che risponde pubblicamente: un meccanismo che consente di affrontare temi altrimenti destinati ad alimentare il chiacchiericcio nei corridoi.
Una giornata viene dedicata alle visite mediche per le donne e per gli uomini dipendenti dell’azienda e per i loro figli, e ci sono anche un servizio di take-away del cibo preparato dal nostro ristorante interno e uno di assistenza psicologica. Abbiamo anche un club, J-Next, formato da persone con meno di trent’anni, che si incontrano ogni venerdì mattina e una volta al mese espongono al management le loro idee. Questa è una delle fonti principali di innovazione dell’organizzazione aziendale. Poi organizziamo tornei di calcio o di padel, giornate dedicate alla cucina persiana curate personalmente da mia madre, e l’Innovation Day, con cadenza biennale, un pomeriggio che passiamo con rappresentanti degli istituti bancari per raccontare loro, nella nostra sede, le idee di sviluppo per l’azienda. In tutto cerchiamo di attivare la connessione umana. Se non ci si conosce, tra di noi o anche con fornitori esterni come le banche, è impossibile impostare qualsiasi attività o business di successo.
Un’impostazione “democratica” dell’azienda, insomma. Possiamo definirla così?
Non direi. È un’impostazione che cerca un nuovo modo di comunicare per la leadership. Ci siamo accorti che i team devono essere agili, composti da poche persone, perché non funziona più l’approccio di un tempo, in cui ci si limitava a impartire ordini e ci si aspettava che fossero eseguiti. Ora ogni cosa va motivata e spiegata a chi la deve eseguire e questo richiede tempo e attenzione. Abbiamo quindi deciso di trasformare in parte la nostra organizzazione, renderla più settorizzata, con capi più giovani e con team meno numerosi. Però le aziende non sono organizzazioni strutturate in modo democratico. Le opinioni su quello che va fatto vengono richieste alle persone e valutate. Ma alla fine è il management a prendere le decisioni. ©TECN’È
“Con il nostro Pardis Project abbiamo portato i consumi per la verniciatura da 900 kWh per scocca a 270 kWh, mettendo a punto una tecnologia non soltanto sostenibile, ma anche produttiva e conveniente per i clienti”.