Dopo aver fondato nel 1983 il più importante produttore statunitense di macchine utensili, da quest’anno Gene Haas è anche il patron di Haas Racing Team, che ha partecipato al mondiale di Formula Uno. TECN’È lo ha incontrato in occasione del Gran Premio di Monza, presso l’Haas Factory Outlet operated by Celada, e gli ha chiesto di raccontarci le sue idee sul futuro della sua azienda e del mercato.
di Riccardo Oldani
Gene Haas ha fondato nel 1983 l’azienda che porta il suo nome, Haas Automation (www.haascnc.com), il più importante produttore statunitense di macchine utensili o, come dice lui, “l’unico che ha saputo resistere alla concorrenza sempre più agguerrita di cinesi, giapponesi, coreani ed europei”. Da quest’anno è anche il patron di Haas Racing Team, che ha partecipato al mondiale di Formula Uno e che ha forti legami con l’Italia, equipaggiata con motori Ferrari e con telaio Dallara. Lo abbiamo incontrato, in occasione del Gran Premio di Monza, all’Haas Factory Outlet operated by Celada, a Cologno Monzese, in provincia di Milano, dove ci ha raccontato le sue idee sul futuro della sua azienda e del mercato.
Perché ha deciso di impegnarsi nella Formula Uno?
Il mio primo lavoro è stato in un’officina in cui utilizzavo macchine utensili per produrre cerchi al magnesio per auto da competizione. Quello fu il mio battesimo in questo sport, per così dire. I bolidi da corsa, in effetti, sono prodotti della meccanica di precisione, un po’ come le macchine utensili e i centri di lavoro, che costituiscono il cuore del business che ho fondato. Ho sempre coltivato una forte passione per quel mondo e trovo che ci siano molti punti in comune nel gestire una squadra corse e un’azienda tecnologica come Haas Automation, a partire dalla competizione che ci spinge a essere sempre un passo avanti rispetto ai concorrenti.
Non è anche una mossa funzionale a far conoscere meglio i prodotti di Haas Automation?
Certamente c’è anche questo aspetto. La Formula Uno è un potente mezzo per veicolare l’immagine. Nei luoghi dove si disputano i gran premi organizziamo open house, come abbiamo fatto anche qui a Monza, o a Bruxelles, in occasione della gara di SPA. Sono incontri in cui raccogliamo clienti già acquisiti e potenziali, che magari non riusciremmo a riunire soltanto con la forza di attrazione dei nostri prodotti. Mentre invece sappiamo che ci sono tanti fan e tanti entusiasti delle gare di Formula Uno, che sono considerate qualcosa di eccitante, di bello. Ecco, quello che vorremmo fare attraverso questo connubio è portare la gente, la nostra clientela, a pensare che anche le macchine utensili sono belle ed entusiasmanti. Credo, del resto, che chi ha un’attività manifatturiera legata al settore della meccanica di precisione, gente abituata a utilizzare strumenti come le macchine utensili, sia anche tendenzialmente più propensa ad avere interesse per un mondo come quello della Formula Uno.
Al primo anno in Formula Uno avete già ottenuto ottimi risultati e avete dichiarato programmi ambiziosi. Per quanto riguarda le macchine utensili invece, quali sono i vostri obiettivi?
Nel mondo si producono macchine utensili da oltre 150 anni. Da noi fin dalla Guerra Civile Americana, quando servivano per produrre essenzialmente cannoni e fucili. Negli Stati Uniti sono nate molte aziende produttrici di macchine utensili, ma una buona parte sono chiuse ora, perché la competizione si è rivelata per loro troppo dura. Così siamo rimasti gli unici produttori americani di macchine utensili. Ecco il primo obiettivo è quello di mantenere alta la nostra bandiera, di continuare a essere il produttore americano sul mercato. Il secondo, come deve avvenire in ogni tipo di competizione, è non tirarsi indietro, continuare a progredire anche a costo di picchiare la testa contro il muro per farlo. E il settore delle macchine utensili è perfetto per raccogliere questa sfida: abbiamo moltissimi competitor, giapponesi, coreani, cinesi, europei. È un mercato senza regole ed è molto difficile realizzare prodotti capaci di soddisfare pienamente tutti i tipi di clienti.
L’avvento di Industry 4.0 sta cambiando qualcosa nella vostra visione?
In buona parte i nostri clienti sono piccole imprese, con probabilmente 15 addetti o anche meno, e penso che aziende di questo tipo saranno probabilmente tra le ultime ad adottare tecnologie per interfacciare i loro macchinari con i sistemi gestionali o di controllo di processo. Al tempo stesso però vedo che i processi produttivi diventano sempre più intelligenti, nel senso che mirano a utilizzare materiali sempre più sofisticati e complessi con meno scarti. L’impatto maggiore, in questo settore del manifatturiero, non lo vedo tanto nell’adozione di robot o di automazione, quanto, invece, nell’adozione di nuovi concetti di design, di progettazione. I componenti di ogni oggetto meccanico oggi vengono concepiti per razionalizzare la produzione. Pensiamo, per esempio, alla paratia anteriore di un’auto. Un tempo era composta da molti pezzi di acciaio, saldati tra loro, ora viene pressofusa con una sola operazione. Si può pensare che la pressofusione sia molto più costosa, ma consente di eliminare, in realtà, una grande quantità di operazioni e di manipolazioni di materiali e pezzi: non c’è più bisogno di unire tubi, procedere a operazioni di avvitamento o serraggio o praticare i fori per i bulloni. Ecco allora che grazie il design contribuisce all’automazione, eliminando una gran quantità di passaggi e di lavoro, di attrezzature come saldatori, avvitatori, robot per movimentare il materiale. La costante spinta alla riduzione dei costi nel manifatturiero impone anche una continua riconsiderazione e riprogettazione dei processi. Ed è un qualcosa che non ha bisogno di robot. Anche per i nostri prodotti facciamo la stessa cosa. Siamo costantemente al lavoro per semplificare il progetto, ridurre o eliminare parti e per applicare un’ingegnerizzazione intelligente ai nuovi prodotti.
E del mercato italiano che cosa ci dice? Quale potrebbe essere il suo futuro?
Un Paese come l’Italia che affidi la propria economia in larga parte al manifatturiero può correre dei rischi. Oggi, per esempio, negli Stati Uniti la manifattura copre solo una piccola parte del mercato. Vale ancora miliardi e miliardi di dollari, ma le industrie dell’intrattenimento, dell’healthcare, farmaceutico, imaging, software, comunicazioni, satelliti stanno veramente crescendo moltissimo. Penso che se fossi un produttore italiano comincerei a sondare con molta attenzione settori nuovi in cui operare, come quello dei satelliti, per esempio, collegati alla comunicazione, al fatto che utilizziamo sempre di più telefoni cellulari o tecnologie per essere sempre connessi. Sono sorpreso dalla velocità con cui questo tipo di rivoluzione sta avvenendo e credo che abbia il potenziale per cambiare davvero, in breve tempo, le carte in tavola e le regole del gioco. Se pensiamo che la manifattura è stata finora la base, il fondamento della nostra società, devo anche pensare che, in un prossimo futuro, non lo sarà più, con ogni probabilità.
Che cosa diventerà allora il manifatturiero?
Credo che si orienterà sempre più alla produzione di parti altamente sofisticate, tecnologiche, di piccole dimensioni, che richiedono lavorazioni estremamente precise e delicate. Saranno prodotti con un’alta tecnologia alle spalle a generare la maggior parte del fatturato. Articoli destinati a settori come il medicale, la robotica, il satellitare o simili. Le aziende che oggi operano in questo settore dovranno saper anticipare il mercato e dotarsi delle tecnologie giuste, una sfida non semplice. Tenendo conto del fatto che il valore aggiunto di questi prodotti risiederà nel loro design e andrà quindi a beneficio di chi ne deterrà la proprietà intellettuale, i brevetti. Non basterà più, in altre parole, essere semplici produttori o trasformatori.
Grosjean e Gutierrez, i due piloti di Haas F1 Team, presenti all’open day Celada il 3 settembre scorso, prima del Gran Premio di Monza.