L’industria può fornire un grande supporto al percorso verso la sostenibilità, non solo producendo tecnologie green, ma anche adottando strategie virtuose.
Il concetto di sostenibilità coinvolge molteplici fattori. Tra materiali impiegati ed energia consumata, nell’industria si ragiona con un ordine di grandezza che richiede un cambio di passo, sia nei processi produttivi sia nei prodotti.
di Alessia Varalda
I gas serra, e in particolare la CO2, sono i maggiori responsabili del cambiamento e dell’aumento della temperatura media globale. Le cause delle emissioni sono molteplici: in Italia, alla produzione di energia è imputabile ben il 34% della quantità di gas serra immesso in atmosfera, seguita dall’industria con il 24%. Ma mentre tra eolico, fotovoltaico, idroelettrico e idrogeno lo sforzo verso l’impiego di fonti energetiche rinnovabili e a basso impatto è evidente, che cosa si sta facendo, e soprattutto si può fare, nell’industria?
Entra poi in gioco anche la sostenibilità, che abbraccia l’efficienza in tutte le sue forme ma che non può prescindere da altri importanti dettagli. Non basta che un processo produttivo sia privo di sprechi di energia o di materie prime: qualunque sia il bene realizzato, è necessario progettarlo in modo che sia facilmente riciclabile o riutilizzabile a fine vita, e che impieghi packaging minimali, costituiti da materiali green. L’economia circolare è un altro tassello di questo complesso puzzle, che consentirà di ottenere enormi benefici già nel breve periodo e di ridurre ulteriormente l’impatto dell’uomo sul pianeta.
IL PRIMO PASSO: L’AUDIT ENERGETICO
Indipendentemente dal tipo di attività svolta, per comprendere quale sia la giusta direzione da prendere è indispensabile capire quale sia il punto di partenza. Il cosiddetto audit energetico permette di valutare il modo in cui l’energia viene utilizzata in una azienda: in altre parole, si misurano i consumi di ogni attività (come i processi produttivi, ma anche il riscaldamento degli ambienti, l’illuminazione ...) e si utilizzano queste informazioni per identificare successivi potenziali miglioramenti.
Dal punto di vista prettamente economico, molte aziende si limitano a pagare le forniture di elettricità e gas senza conoscere quanta parte di queste cifre dipenda dai diversi reparti, macchinari o impianti.
Il Rapporto di Sostenibilità è un documento in cui l’azienda espone performance e attività relative legate agli obiettivi ESG (Environmental, social, and corporate governance) e ai loro progressi.
IL RAPPORTO DI SOSTENIBILITÀ
Il Rapporto di Sostenibilità, detto anche bilancio di sostenibilità, è un documento in cui l’azienda espone performance e attività relative legate agli obiettivi ESG (environmental, social and corporate governance) e i progressi verso questi obiettivi. In esso la società comunica gli impegni e i risultati presi nell’ambito della Corporate Social Responsibility (CSR), la Responsabilità Sociale d’Impresa.
È una misura finora obbligatoria solo per gli enti di interesse pubblico e i gruppi di grandi dimensioni, che sono tenuti a redigere un’informativa non-finanziaria secondo quanto disposto dal Decreto legislativo 254/2016. Anche le Società Benefit, come stabilito dalla Legge 208/2015, sono obbligate a produrre una valutazione di impatto su temi specifici indicati dalla norma.
Da gennaio 2023 è entrata in vigore una importante novità, costituita dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che ha sostituito la direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario (NFRD). Questa nuova disposizione modernizza e rafforza le norme relative alle informazioni sociali e ambientali che le aziende devono fornire. L’introduzione della CSRD amplia notevolmente il perimetro di aziende coinvolte nella redazione dell’informativa di sostenibilità: l’UE stima che le società che attualmente redigono la Dichiarazione non finanziaria (DNF) passeranno da 11.700 a circa 49 mila, di cui almeno 4 mila soltanto in Italia. Le prime aziende devono applicare le nuove regole per la prima volta nell’anno finanziario 2024, per i report da pubblicare nel 2025.
Sono diverse le realtà tenute a redigere il report di sostenibilità: grandi imprese non quotate con, alla data della chiusura del bilancio (anche su base consolidata), almeno 250 dipendenti, 20 milioni di euro di stato patrimoniale e 40 milioni di euro di ricavi netti; piccole e medie imprese quotate (escluse le micro-imprese con meno di 10 dipendenti); imprese e figlie di succursali con capogruppo extra-UE per le quali la capogruppo abbia generato in UE ricavi netti superiori a 150 milioni di euro per ciascuno degli ultimi due esercizi consecutivi e almeno una succursale che abbia generato ricavi netti superiori a 40 milioni di euro nell’esercizio precedente.
Il report di sostenibilità consente di rendere più efficienti i processi decisionali delle organizzazioni e permette loro di ridurre i rischi presenti in tutta la catena di fornitura in essere. La sua importanza risiede nella possibilità di soddisfare la crescente richiesta di maggiori informazioni riguardo la condotta sostenibile delle organizzazioni.
Tutti i fornitori di energia offrono contratti che prevedono l’utilizzo di sole fonti rinnovabili. Le industrie possono affiancare a queste forniture anche l’installazione di impianti sui loro capannoni.
DALLE FONTI FOSSILI ALLE RINNOVABILI
Un modo di semplice implementazione per ridurre l’impatto ambientale di una azienda è quello di utilizzare energia pulita. Le statistiche di Terna, la società italiana operatrice delle reti di trasmissione dell’energia elettrica, mostrano come nel 2022 le fonti non rinnovabili abbiano rappresentato una quota ancora preponderante (63,9%) nel panorama nazionale. Il restante 36,1% è coperto invece da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico, seguito da idroelettrico, eolico e bioenergie.
Ormai tutti i fornitori di energia offrono contratti che prevedono l’utilizzo di sole fonti rinnovabili, contribuendo così a ridurre l’impronta carbonica complessiva. Ma si può fare di più. La produzione fotovoltaica ha avuto il maggior tasso di crescita negli ultimi anni, grazie alla relativa semplicità di installazione dei pannelli e alla disponibilità di ampie aree altrimenti inutilizzate: terreni non idonei per l’edificazione, non adatti all’uso agricolo o tetti di stabilimenti industriali.
Sono proprio questi ultimi a rappresentare una risorsa chiave per molte aziende, poiché permettono di sfruttare le superfici disponibili per l’installazione di impianti da decine o centinaia di kW di potenza. Non sempre sufficienti per coprire l’intero fabbisogno di una azienda (in particolare di quelle più energivore), ma sicuramente in grado di soddisfare quote percentuali a due cifre. Esistono casi ancora più rappresentativi: l’idroelettrico è molto diffuso sul territorio e può essere sfruttato anche con impianti di dimensioni relativamente contenute. Idroimpianti, società del Gruppo Bugatti, si occupa per esempio di produzione di energia idroelettrica e contribuisce a soddisfare oltre il 30% del fabbisogno di Aignep altra realtà del gruppo che sviluppa soluzioni per la gestione dei fluidi e dell’aria compressa.
Il cloud provider italiano Aruba possiede addirittura otto centrali idroelettriche in Nord Italia che, insieme, garantiscono una potenza di 10 MW per la produzione di energia pulita utilizzata per alimentare i datacenter.
PRODURRE MEGLIO, CON MENO RISORSE
Una volta valutata la propria condizione di partenza (audit energetico) e deciso di utilizzare per quanto possibile fonti rinnovabili (dal proprio gestore o autoprodotte), è il momento di comprendere in che modo ridurre la domanda di energia impiegando macchine efficienti all’interno di processi ottimizzati. Utilizzare macchinari moderni, produttivi e sui quali viene svolta la corretta manutenzione periodica è un buon punto di partenza, ma occorre prevedere un monitoraggio costante per mantenerne inalterate le condizioni operative.
La digitalizzazione fornisce una risposta. Industria 4.0 e il valore aggiunto della connettività assicurano infatti una spinta significativa per l’efficienza, poiché un semplice sensore connesso potrà identificare eventuali variazioni, per esempio nella pressione dell’impianto dell’aria compressa o nei consumi dei compressori, e segnalarle in tempo reale per un pronto intervento di un tecnico.
Il medesimo esempio può essere applicato virtualmente in ogni processo, impianto o sottosistema: dai più semplici e rapidi da implementare ai più complessi, ma potenzialmente più redditizi sul fronte della riduzione dei consumi. I risultati di un simile percorso di efficientamento possono fare la differenza in un mercato nel quale il costo dell’energia può aumentare in maniera consistente. Ma molte aziende si sono spinte oltre e hanno applicato i medesimi concetti ai prodotti realizzati, come macchinari per lo stampaggio di metalli dotati di un sistema ibrido in grado di recuperare buona parte dell’energia cinetica che altrimenti andrebbe dispersa. O altre che, tramite l’uso di scambiatori di calore, sono state in grado di trasformare il calore un tempo disperso nell’ambiente in una risorsa per climatizzare gli uffici o da rimettere in circolo attraverso sistemi adiabatici.
Oltre ad assicurare vantaggi ambientali, un approccio circolare può anche generare opportunità economiche.
CASI LIMITE: LOTTI SINGOLI E SETTORI HARD TO ABATE
Esistono infine ambiti applicativi contraddistinti da caratteristiche molto complesse. Uno di questi casi riguarda la produzione di lotti piccoli o addirittura unitari nell’ambito della mass customization. L’automotive è un esempio di quanto sia possibile ottimizzare i processi per realizzare milioni di parti tutte uguali, ma al tempo stesso gli utenti sono alla ricerca di soluzioni personalizzate e per molti versi uniche.
Bilanciare queste due esigenze, ottimizzazione e unicità dei prodotti, è la nuova sfida che coinvolge le aziende. Con, in aggiunta, la necessità di tenere d’occhio l’efficienza energetica. L’automazione flessibile è in grado di conciliare necessità così distanti tra loro: assicura la giusta produttività, pur lasciando ampio margine per la customizzazione di prodotti e processi.
Un’altra sfida è quella costituita dai cosiddetti settori hard to abate, nei quali l’alta intensità energetica richiesta, l’assenza di opzioni per l’elettrificazione o gli investimenti insostenibili per l’efficientamento rappresentano attualmente un ostacolo tecnologico ed economico insormontabile. In questi casi, che tipicamente includono attività quali cementifici, fonderie, vetrerie o cartiere, si possono comunque compiere dei passi nella giusta direzione, in attesa che vengano sviluppare tecnologie alternative o che vengano erogati specifici incentivi in grado di attuare l’auspicato cambiamento.
LE OPPORTUNITÀ DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
L’economia circolare rappresenta un paradigma innovativo che mira a ridurre l’impatto ambientale e a ottimizzare l’impiego delle risorse attraverso la gestione oculata dei materiali, dei prodotti e dei rifiuti. Contrariamente al modello lineare tradizionale, in cui le risorse vengono estratte, utilizzate e quindi eliminate, l’economia circolare promuove il riutilizzo, il riciclo e la rigenerazione per mantenere il valore economico il più a lungo possibile.
Uno degli aspetti chiave dell’economia circolare nell’industria è la progettazione dei prodotti con l’obiettivo di massimizzare la loro durata, facilitarne la riparazione e semplificarne il riciclo al termine della loro vita utile. Oltre ad assicurare vantaggi ambientali, un approccio circolare può anche generare opportunità economiche. La crescita del settore del riciclo sta creando nuovi posti di lavoro, mentre le imprese che adottano pratiche circolari spesso riducono i costi operativi e migliorano la propria reputazione, rispondendo alle crescenti aspettative dei consumatori riguardo alla sostenibilità. © ON ENERGY
I settori industriali più energivori o hard to abate sono quelli più difficili da gestire in una chiave ecosostenibile, perché non possono essere alimentati dalle rinnovabili. Per queste produzioni sono allo studio soluzioni diversi, per esempio basate sull’idrogeno.