A Linking University, evento ideato da Messe Frankfurt, hanno partecipato un nutrito numero di ricercatori e imprese, poste a confronto con l’obiettivo d’aumentare la competitività delle aziende e la capacità di ricerca dell’Università. Alimentari, farmaci, bevande, automobili, giocattoli, elettrodomestici, abbigliamento e apparecchiature elettroniche: qual è il denominatore comune? L’automazione, quell’insieme di funzionalità grazie alle quali non solo il prodotto viene confezionato e messo sul mercato, ma spesso anche realizzato. Senza l’automazione la stragrande maggioranza dei negozi, supermercati, autosaloni e boutique non avrebbero niente da mostrare alla clientela e i consumatori nulla da acquistare.
In quest’ottica, l’evento che si è svolto il 17 novembre scorso, presso il Mercedes Center di Milano, ha voluto riunire in un’unica tavola rotonda tutti i referenti del comparto automazione: costruttori da un lato e accademici dall’altro. Il tutto, in attesa della seconda edizione di SPS/IPC/Drives Italia 2012, programmata dal 22 al 24 maggio presso Fiera di Parma. L’automazione ha in tal modo vissuto un appuntamento chiave del suo percorso verso la manifestazione programmata da Messe Frankfurt, dove, tra l’altro, è ben emersa la necessità di una ricerca che aiuti l’impresa a crescere.
DOTTORE IN RICERCA
“Chi si occupa d’innovazione in azienda?” Risposta: “Il titolare”. “E in che modo lo fa?” Risposta: “Va alle fiere”. In questo breve botta e risposta, in cui a far la domanda è l’Università e a rispondere è l’azienda, è racchiuso, secondo il comunicato stampa di Messe Frankfurt, il significato del secondo Linking University. L’obiettivo è chiaro: in un comparto come quello dell’automazione, in cui a farla da padrone è l’innovazione intesa nel senso più ampio del termine, il valore aggiunto rappresentato da un apporto accademico può essere visto come un vero e proprio asso nella manica. “Il dottore in ricerca”, spiega il professor Cesare Fantuzzi dell’Università di Modena e Reggio, “o meglio il PhD, non è solo un percorso teorico triennale post laurea, ma è molto di più. In Italia ancora si pensa che sia un modo per iniziare la carriera accademica, invece è piuttosto un percorso che ha l’obiettivo di risolvere specifiche questioni. Il punto di partenza può essere per esempio un’azienda che si chiede come poter risolvere un particolare problema. Se il passo successivo è il contatto con l’Università, è da qui che partiranno i 36 mesi di ricerca di cui i primi 12 a capire lo stato dell’arte e i successivi 24 a capire come risolvere il problema. Non è scontato che al termine ci sia l’ingresso in azienda, ma non è nemmeno escluso che possa accadere”. Ma allora perché la figura del PhD è così poco sfruttata? Banalmente perché la si conosce poco. “Noi imprenditori”, spiega Ennio Franceschetti, Presidente di Gefran, “spesso non capiamo il linguaggio degli accademici ed è per questo che può capitare di non vederli come un’opportunità. Con l’impegno reciproco però questo può cambiare, con il vantaggio di tutti”. Emilio Cavazzini di Innovation VP Sidel si spinge oltre: “All’estero il collegamento tra Università e impresa funziona meglio. In Italia, alle volte, le Università si fanno la guerra tra di loro e per noi è difficile trovare un punto di riferimento affidabile. Ed è un peccato, perché non possiamo permetterci di fare technology scouting internamente, ci costerebbe troppo, e pur di trovare persone affidabili saremmo anche disposti a spendere parecchio”.
D’accordo con gli imprenditori il professor Alberto Leva, del Politecnico di Milano, secondo il quale: “Università e impresa parlano due linguaggi diversi e questo è tanto più valido quanto più le aziende sono piccole”. Ma sono proprio le aziende più piccole, quelle in cui non esiste la figura del R&D manager (quelle in cui è più probabile che ci sia un titolare che va ad aggiornarsi alle fiere di settore) che i PhD potrebbero dare l’apporto maggiore. A far ancora più luce sulle qualità dei dottori in ricerca ci pensa la professoressa Alessandra Flammini, dell’Università di Brescia, che sottolinea come: “Il PhD non è una persona che l’azienda assume per spendere meno, ma è una persona che vede i problemi dell’azienda dall’esterno e questo è un valore
aggiunto. Per chi sta in azienda esiste solo quella realtà. Per il dottore in ricerca invece l’universo di riferimento è molto più ampio e questo, grazie a una maggiore flessibilità, porta più facilmente alla risoluzione dei problemi”. Ampia davvero l’offerta dell’Università che, per quanto incredibile, sembra in grado di risolvere qualsiasi tipo di problematica l’azienda possahttp://www.sps-italia.net avere.
TECNOLOGIA DA NON PERDERE
Illuminanti a Linking University le relazioni dei rappresentanti italiani dei quattro settori scientifici di riferimento per l’automazione: misura, elettronica, automatica e meccanica. Nelle loro parole la sintesi del loro lavoro: “È difficile trovare nella vita quotidiana qualcosa che non sia legato all’automazione. E questo è valido per ogni settore, comparto e professione che ci possa venire in mente. È una hidden technology, una tecnologia nascosta, senza la quale il mondo come lo conosciamo oggi non esisterebbe”.
La stagione di SPS/IPC/Drives Italia, in programma a Parma, come detto, dal 22 al24 maggio 2012 entra dunque nel vivo grazie a questo primo passo. E dopo il secondo Linking University, la manifestazione vuole ancora una volta confermarsi come momento fieristico di riferimento per tutto il mondo dell’automazione industriale. A distanza di più di cinque mesi dall’apertura della seconda edizione, le principali aziende del settore hanno già aderito e confermato la loro presenza preparando per tutti gli operatori del distretto la più ampia e completa panoramica sui nuovi prodotti e sulle ultime tecnologie. Sul sito www.sps-italia.net è disponibile l’elenco delle aziende iscritte, periodicamente aggiornato.