Federico Sandrone, con la sua COESA, l’ESCo fondata nel 2012 a Torino con l’amico Dario Costanzo, ha una missione nella vita: semplificare la transizione energetica di famiglie, pubblica amministrazione e industrie, dimostrando che un modello di produzione più sostenibile è possibile.
Trentasei anni, torinese, laureato in ingegneria, Federico Sandrone ha una missione nella vita: semplificare la transizione energetica di famiglie, pubblica amministrazione e industrie dimostrando che un modello di produzione più sostenibile è possibile. Ci sta riuscendo con la sua COESA, l’ESCo fondata nel 2012 a Torino con l’amico Dario Costanzo, che ha chiuso il 2023 con il più alto fatturato di sempre: 32 milioni di euro trainati da un +300% nel fotovoltaico industriale, ma anche da numerosi progetti per l’efficienza di Comuni e Pubblica Amministrazione.
Come coordinatore della filiera Energy and Sustainable Mobility dell’Unione Industriali Torino non si stanca di spiegare che sì, i pregiudizi sul nucleare sono ormai superati dal progresso scientifico, ma bisogna anche fare i conti con la realtà, e quella attuale, per il ritorno al nucleare, parla di tempi e costi incompatibili con gli obiettivi green che l’Italia, e di riflesso l’Europa, si è data sul breve periodo.
Per fare il punto sullo stato della transizione verde nel nostro Paese a febbraio COESA ha anche riunito nel capoluogo piemontese i rappresentanti della politica e dell’industria per una riflessione di filiera che aveva l’obiettivo di tracciare una roadmap della sostenibilità. Un primo passo per dare vita a un vero e proprio osservatorio della sostenibilità che coinvolga i più importanti player italiani del settore.
L’ultimo progetto: la nascita di WeCer, una Comunità Energetica Rinnovabile (CER) costituita per unire produttori e consumatori di energia verde del Nord Italia sotto un unico “ombrello”. Riportiamo qui un’intervista a Federico Sandrone che ci ha inviato l’ufficio stampa Threesixty, che ringraziamo per la collaborazione.
Come è nata l'idea di WeCer?
L’idea di accedere a fonti di energia rinnovabili crea immediato interesse tra i cittadini oltre che tra soggetti economici come le imprese. Spesso però le stesse amministrazioni non sanno come orientarsi tra norme e procedure. Ecco perché abbiamo voluto creare un hub che potesse semplificare la vita a chi voglia partecipare: cittadini, piccole e medie imprese, amministrazioni comunali, enti religiosi e associazioni.
La comunità energetica è infatti, in ogni caso, un soggetto giuridico con regole societarie e con obblighi dettati del Gestore dei Servizi Energetici, ente che eroga e regolamenta i contributi che arrivano in capo alla comunità.
Come funziona questa nuova Comunità Energetica?
È strutturata come una cooperativa sociale, aperta a nuovi produttori, interessati a installare impianti fotovoltaici, e a consumatori intestatari di un punto di prelievo (POD) nel Nord Italia. Chi aderisce non deve installare nuovi contatori o cambiare fornitore di energia.
All’interno di questa comunità principale potranno confluire diverse sotto-configurazioni di soci produttori e consumatori, collocati nel nord del Paese, purché sottesi alla stessa cabina primaria, un elemento indispensabile per garantire l’efficienza della distribuzione locale dell’energia e massimizzare i benefici della condivisione. I membri della CER COESA potranno inoltre beneficiare di tariffe incentivate sull’energia condivisa, contribuendo a ridurre i costi in bolletta.
Può aderire anche chi non ha ancora costruito un impianto fotovoltaico?
Certo. In questo caso COESA - oltre a curare in toto la realizzazione dei nuovi sistemi a energia green - facilita l’accesso agli incentivi, come il contributo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per impianti in comuni sotto i 5.000 abitanti e l’incentivo sull’energia condivisa.
In Italia cresce il peso delle rinnovabili, eppure da un po’ di tempo si è tornati a parlare di nucleare. Chi è destinato a vincere questa partita?
Può vincere unicamente un mix energetico ben calibrato, il solo in grado di rappresentare un’alternativa credibile alle fonti fossili. Spazio quindi a eolico, fotovoltaico, idrogeno e anche al nucleare, che non va demonizzato. Non potrei certo farlo io che mi sono laureato proprio in ingegneria energetica e nucleare.
Non possiamo però dimenticare che le nuove tecnologie in questo settore saranno davvero disponibili solo tra molti anni. Mentre aspettiamo le centrali di quarta generazione e i reattori e fusione come gestiamo l’approvvigionamento energetico?
Ha qualche idea?
Solo in Italia, se si sfruttassero gli oltre 300 chilometri quadrati di coperture su stabilimenti e capannoni industriali per installare impianti fotovoltaici si libererebbe un potenziale di investimento tra i 30 e i 36 miliardi di euro.
Quanto basta per aggiungere altri 30 GW alla produzione di energia elettrica nazionale da fonti rinnovabili e coprire così il 60% del target totale di 50 GW, secondo la traiettoria tracciata dal pacchetto Fit-for-55, elaborato dalla Commissione Europea per ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra dell’UE del 55% entro il 2030.
Anche con il fotovoltaico però non sono tutte rose e fiori. I grandi produttori raramente sono europei.
Con il fotovoltaico abbiamo commesso un errore strategico, lasciando che la filiera crescesse al di fuori del nostro continente, prevalentemente in Cina. Anzi, abbiamo addirittura finanziato i nostri competitor con incentivi al consumo mai visti prima. Il risultato? In certi Paesi si sono installati talmente tanti pannelli fotovoltaici da saturare il mercato dell’energia creando un gap negativo tra richiesta e offerta.
Ma paradossalmente l’industria europea del settore langue, perché le tecnologie che stiamo comprando vengono dall’Estremo Oriente. Questo ci obbliga a fare un ragionamento di medio-lungo periodo per decidere quali filiere vogliamo riportare in Europa e quali possiamo invece mantenere fuori dal nostro continente.
Anche riportare in Europa la filiera del fotovoltaico richiederebbe tempo.
Vero, ma in questo caso la situazione è più rosea rispetto a quanto avviene per le energie fossili. Petrolio e gas si importano, si consumano e vanno poi riacquistati dopo l’utilizzo. I pannelli fotovoltaici no, una volta acquistati restano qui da noi e possiamo agire per aumentare la loro vita produttiva, evitando ulteriori acquisti e abbattendo così la loro impronta ecologica.
Come possiamo fare?
La chiave sta prima nel riutilizzo dell’usato e poi nel riciclaggio per dare vita alle cosiddette materie prime seconde. Dobbiamo agire in un’ottica di economia circolare. Faccio un esempio concreto: come COESA abbiamo realizzato KeepTheSun, un nuovo marketplace dedicato ai pannelli fotovoltaici.
È il primo in Italia e tra i primi in Europa, e nasce per trasformare quello che attualmente è un rifiuto in una risorsa preziosa, con evidenti riflessi sulla riduzione dell’inquinamento e anche sul nostro sistema economico. Si tratta di un mercato che potenzialmente vale miliardi di euro e che oggi semplicemente non esiste, gestito in maniera amatoriale su diverse piattaforme di e-commerce.
Ma i pannelli fotovoltaici usati ormai non sono da buttare?
È un pregiudizio. Un modulo integro mantiene una resa almeno dell’80% anche dopo 20/25 anni dalla prima installazione. Inoltre, anche se ha una potenza di picco inferiore ai modelli di ultima generazione, esistono situazioni e fabbisogni energetici in cui un pannello meno performante trova comunque il suo spazio e il suo basso costo ne facilita la diffusione.
Alcuni non sono adatti, ad esempio, per l’impianto fotovoltaico di un’abitazione ma possono invece essere impiegati per tantissime attività a bassa potenza in uso domestico o agricolo.
Abbandonare troppo rapidamente le fonti fossili però avrebbe anche una ripercussione sull’occupazione
Certamente sì, ma in positivo. Secondo un recente studio IRENA (l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili) la transizione energetica potrebbe generare 40 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale entro il 2050. Va detto che allo stato attuale solo il 14% sarebbero in Europa.
Per questo aziende e politica devono dialogare per fare in modo che le economie dell’UE non vadano al traino della Cina ma, al contrario, tornino protagoniste di questo processo. Al centro non ci sono solo gli interessi delle aziende, ma quelli delle persone.
Quanto contano le persone per un’azienda come COESA?
Per noi si tratta di una questione centrale, il senso profondo delle nostre azioni. Perché il punto non è solamente tagliare i costi delle bollette ma favorire uno stile di vita che sia realmente più sostenibile e meno dannoso per il pianeta.
Come azienda questo è l’orizzonte strategico delle nostre azioni; come imprenditori il nostro obiettivo è generare un impatto sociale positivo con le nostre azioni, collaborando con realtà del terzo settore e sostenendo con enti di ricerca come AmfAR, che si impegna concretamente per la ricerca di una cura contro l’AIDS.
“Il punto non è solamente tagliare i costi delle bollette ma favorire uno stile di vita che sia realmente più sostenibile e meno dannoso per il pianeta”, afferma Federico Sandrone.