Ambientalisti protestano in Minnesota (Usa) contro il negazionismo climatico, denunciando gli interessi degli estrattori di petrolio nel frenare norme e provvedimenti per ridurre le emissioni di gas climalteranti.
Per decenni la scienza ha indagato sul clima, sviluppando modelli che indicano nelle attività umane la causa principale del riscaldamento globale. L’opinione di Antonello Pasini, fisico del clima dell’IIA-CNR e tra i massimi esperti italiani.
di Riccardo Oldani
Se c’è un fenomeno studiato nel mondo, al giorno d’oggi, sono i cambiamenti climatici. A indagarli sono migliaia di scienziati in tutto il pianeta, le cui ricerche confluiscono in una delle organizzazioni scientifiche più estese e ramificate, l’IPCC, pannello intergovernativo sui cambiamenti climatici, fondato nel 1988 dall’Unep, il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite. I rapporti periodici dell’IPCC sono preziosi strumenti per i politici che vogliono informarsi sulla situazione del clima del pianeta e decidere quali misure intraprendere.
Da qualche tempo, però, un diffuso movimento negazionista ha cominciato a mettere in discussione l’autorevolezza di questa organizzazione e gli stessi fondamenti della scienza del clima. L’enfasi mediatica data a queste opinioni antiscientifiche ha contribuito a dare loro una visibilità immeritata, spesso strumentalizzata a fini politici e propagandistici.
Antonello Pasini durante una conferenza. Fisico del clima dell’IIA-CNR, lo scienziato è anche un appassionato divulgatore.
COME SI STUDIA IL CLIMA
Allora è forse il caso di fare un piccolo passo indietro e spiegare come viene condotta la ricerca scientifica sul clima, chi la fa e, soprattutto, a quali risultati è approdata. Per farlo abbiamo chiesto aiuto ad Antonello Pasini, uno tra i più noti e attivi scienziati italiani del clima, primo ricercatore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR (IIA-CNR) e anche eloquente divulgatore, che per anni ha curato un seguitissimo blog, intitolato “Il Kyoto Fisso”, dapprima per Il Sole 24 Ore e poi per il sito di Le Scienze.
Pasini è uno scienziato che ama il dialogo e il confronto con tutti, senza preconcetti. Con 18 scienziati italiani del clima e dell’ambiente ha anche dato vita a un’organizzazione, La Scienza al Voto, che si propone come un comitato scientifico super partes per fornire risposte sui temi climatici ai politici e decisori italiani. “Abbiamo creato La Scienza al Voto”, spiega, “prima delle ultime elezioni politiche italiane, con l’obiettivo di stabilire un dialogo più stretto con i politici italiani di ogni colore e di istituire un tavolo di lavoro clima-ambiente, una sorta di consiglio di consulenza per il governo e il Parlamento sui temi climatici”.
“Lo abbiamo fatto spiegando ai politici che non vogliamo fare il loro lavoro, perché non ne saremmo capaci. Ma siccome abbiamo il vizio di fare i conti, sappiamo anche dire loro quali sono le soluzioni scientificamente fondate che possono contribuire ad affrontare in modo serio il cambiamento climatico e quali, invece, sono puro e semplice greenwashing”. C’è anche un disegno di legge, ora fermo in Commissione Ambiente, per dare vita a questo “advisory board” e dare all’Italia finalmente un organismo di riferimento sui cambiamenti climatici. E poi c’è un progetto per l’Europa, lanciato prima delle ultime Europee, per creare in tutti gli stati membri tavoli di discussione sul clima aperti e non condizionati politicamente.
Un uragano ripreso da un satellite della NASA e analizzato per determinare direzione e forza dei venti al suo interno. Gli scienziati hanno sviluppato complessi modelli, ricavati anche dalla meteorologia, che consentono di simulare con grande precisione fenomeni ed evoluzione del clima.
L’EVIDENZA SCIENTIFICA
Di fronte a chi mette in discussione l’impatto umano sul clima, qual è allora la risposta? “La risposta sono le evidenze scientifiche”, ci dice Pasini. “Abbiamo per tutto il mondo osservazioni dettagliatissime che dimostrano il riscaldamento globale, sia quelle degli ultimi 170 anni raccolte in modo sistematico con strumenti di misurazione come termometri, pluviometri e simili, sia i dati indiretti che ci provengono da fonti diverse, come gli anelli degli alberi, i pollini fossili, i sedimenti marini e lacustri. Perfino le carote di ghiaccio raccolte in Antartide che ci forniscono informazioni sul clima fino a 800 mila anni fa”.
Le fonti parlano agli scienziati. Nel caso del clima che cosa dicono? “Innanzi tutto”, risponde Pasini, “che il clima è sempre cambiato nel corso della storia della Terra. Le carote di ghiaccio, per esempio, mostrano chiaramente l’andamento tra le epoche glaciali e i periodi caldi interglaciali. Al loro interno sono inoltre rimaste intrappolate bolle d’aria che ci dicono come fosse l’atmosfera fino a 800 mila anni fa. Per cui sappiamo che le proporzioni di ossigeno e azoto nell’atmosfera sono rimaste costanti nel tempo. Ma non per l’anidride carbonica, che ha sempre oscillato tra 200 e 280 ppm (parti per milione), mentre ora ha superato le 420 ppm. Un dato eloquente, perché l’anidride carbonica è uno dei gas responsabili dell’effetto serra, il fenomeno alla base dell’aumento medio della temperatura sul pianeta”.
Che cosa osservate dai dati storici? “È evidente”, prosegue lo scienziato, “che il riscaldamento globale più recente, quello degli ultimi 60 anni, è estremamente più rapido di tutti quelli avvenuti in precedenza. In un secolo la temperatura media del pianeta è aumentata di 1,2 °C, mentre nei passaggi dalle epoche glaciali ai periodi caldi del clima terrestre la temperatura cresceva di 1 °C ogni 1.000-2.000 anni”.
Ricercatori danesi effettuano un carotaggio di ghiaccio a scopo di ricerca nell’Artico. Anche dallo studio di questi reperti gli scienziati possono ricostruire la storia del clima della Terra (da Wikipedia, foto Helle Astrid Kjær).
CAUSE NATURALI E UMANE
La causa sono le attività dell’uomo legate al boom dell’industria e dei trasporti? “Lo scienziato deve avere un approccio neutro ai fenomeni”, dice Pasini. “Le cause del riscaldamento globale possono infatti essere sia naturali sia antropiche. Un esempio di causa naturale sono le radiazioni solari. La temperatura della superficie della Terra è data da un equilibrio energetico, tra l’energia che viene assorbita, che al 99,9% arriva dal Sole, e quella dissipata dal pianeta, che tende a raffreddarlo”.
“Un aumento della radiazione solare può quindi far crescere la temperatura della Terra. Ma questo può anche dipendere da un aumento della concentrazione nell’atmosfera di gas, come l’anidride carbonica, responsabili dell’aumento di effetto serra, il fenomeno che trattiene l’energia che la Terra emetterebbe in una situazione di equilibrio termico. Compito degli studiosi è valutare quale fenomeno abbia un maggiore impatto attraverso osservazioni e misurazioni”.
Alcuni negazionisti sostengono che sono aumentate le radiazioni solari negli ultimi decenni e che quindi la causa del riscaldamento solare è semplicemente quella, né più né meno. L’uomo, insomma, non c’entrerebbe nulla. “Noi scienziati ci basiamo sulle misure”, dice Pasini, “e i dati sulle radiazioni solari arrivate sulla Terra negli ultimi decenni, in particolare dal 1960 in avanti, sono chiari: l’energia proveniente dal Sole non è aumentata, ma diminuita. Invece emerge chiaramente come nello stesso periodo ci sia stato un forte aumento della concentrazione di anidride carbonica e di altri gas serra in atmosfera”.
TANTI MODELLI, STESSO RISULTATO
Ma se i gas serra sono generati da industria, riscaldamento e trasporti è evidente, verrebbe da pensare, che la causa del riscaldamento globale siamo noi. “Bisogna diffidare delle spiegazioni facili”, mette però in guardia Pasini. “Mettere in correlazione l’aumento dei gas serra in atmosfera con il riscaldamento climatico è plausibile, ma non necessariamente indica un rapporto di causa-effetto. Un divulgatore statunitense, Tyler Vigen, ha scritto un libro divertentissimo sulle correlazioni spurie in cui ha trovato le corrispondenze più assurde tra eventi che non hanno nulla a che fare tra loro. Per esempio, l’uscita dei film di Nicolas Cage corrisponde in modo preciso all’aumento delle vendite di lavatrici negli Stati Uniti. Ebbene, dobbiamo stare attenti di non fare un errore simile indagando sul clima”.
In che modo? “Mediante analisi approfondite e modelli al calcolatore”, spiega ancora Pasini. “Siccome il clima non si può riprodurre fisicamente in un laboratorio reale, lo facciamo in un ‘laboratorio virtuale’, costantemente alimentato da dati che provengono da tutto il mondo. Anche queste analisi, comunque, dimostrano chiaramente che il riscaldamento globale più recente, quello avvenuto negli ultimi sessant’anni, è connesso dalle attività umane. Se infatti modifichiamo i modelli climatici impostandoli sui parametri del pianeta al 1850, quando le emissioni di gas serra, la deforestazione, l’agricoltura estensiva non esistevano, vediamo che la curva di temperatura del pianeta si sarebbe mantenuta orizzontale, cioè costante, anche negli ultimi decenni quando invece è cresciuta in modo repentino. In altre parole, con le emissioni del 1850 non ci sarebbe stato alcun riscaldamento globale”.
Ma c’è di più. “La scienza del clima è interdisciplinare”, avverte Pasini. “È fatta da fisici dell’atmosfera, esperti del ciclo dell’acqua o del carbonio, geologi, oceanografi, modellisti, esperti di intelligenza artificiale. E poi da tutti coloro che misurano gli impatti, per esempio dal punto di vista agricolo, economico, della salute e anche dagli urbanisti, che studiano come struttura ed espansione delle nostre città pesino sui cambiamenti climatici”.
“È logico perché, quando si affronta di un fenomeno complesso come il riscaldamento globale, la cosa seria da fare è considerarlo da più punti di vista. Ebbene, da qualunque prospettiva si osservino i cambiamenti climatici, i modelli, anche se completamente indipendenti tra loro, portano tutti allo stesso risultato: il riscaldamento climatico attuale è determinato dalle attività antropiche. Quando approcci diversi e indipendenti portano allo stesso risultato allora diciamo che quel risultato è ‘robusto’. E la scienza del clima è davvero molto robusta”.
Un poster realizzato dalla NASA per promuovere la sua attività di ricerca sul clima. La Terra è più di un pianeta. La Terra è casa, recita il claim che sottolinea come il lavoro dell’agenzia spaziale osservi oceani, terre, ghiacci e atmosfera e misuri come il cambiamento di uno di questi ambiti genera un cambiamento in tutti gli altri.
VERSO IL PUNTO DI NON RITORNO
Che cosa può fare allora l’industria manifatturiera italiana di fronte al tema dei cambiamenti climatici? La tentazione di sposare le tesi negazioniste e di proseguire con il “business as usual” è probabilmente alta per alcune aziende. Ma è una strada sensata? “C’è un solo messaggio che l’industria deve recepire”, conclude Pasini, “ed è quello enunciato in modo molto chiaro fin dall’Accordo di Parigi del 2015. Dobbiamo arrivare a emissioni nette di carbonio zero. Carbone, petrolio e gas naturale non hanno futuro. Se volete fare business, dovete farlo in altri settori. In un momento in cui si avvicina la parità di prezzo tra auto endotermica ed elettrica, tra produzione di energia da rinnovabili e da fonti fossili, remare contro questa transizione va contro gli interessi stessi del business d’impresa. Siamo su una strada senza ritorno e ormai segnata verso le rinnovabili, anche se la stiamo percorrendo troppo lentamente”.
“Ma nel momento in cui varcheremo la soglia della convenienza in favore dell’energia pulita, allora senza ombra di dubbio anche gli interessi economici andranno nella stessa direzione e non ci saranno più dubbi sulla strada da scegliere. È ciò che avviene nei sistemi complessi. Non cambiano gradualmente. Una volta superata una certa soglia entrano in un nuovo equilibrio, completamente diverso. Così succederà anche per il sistema economico globalizzato. Chi capisce prima degli altri quale strada imboccare guadagnerà un vantaggio competitivo. Chi continua a frenare sceglie una battaglia di retroguardia. Del resto, se supereremo determinate soglie di emissioni, i modelli ci dicono chiaramente che non sarà più possibile fermare la trasformazione climatica e l’aumento continuo della temperatura. Per evitare questo punto di non ritorno nel clima, dobbiamo confidare che si verifichi prima il punto di non ritorno economico”.
L’ANTIDOTO AL NEGAZIONISMO
Antonello Pasini non è solo uno scienziato del clima. Per anni ha anche fatto divulgazione sul tema. Come valuta allora quel negazionismo che va contro il suo lavoro di una vita? “Parafrasando Umberto Eco”, dice, “una volta ci si trovava al bar con il quartino di vino a giocare a briscola e c’era sempre qualcuno più sciroccato degli altri che diceva un mare di stupidaggini. Che restavano confinate lì. Oggi chiunque voglia scrivere sui social la sua opinione su qualunque cosa può farlo e avere un’influenza”.
“Anche perché è sempre più difficile per un utente normale capire quali siano le fonti affidabili. E poi c’è il fatto fondamentale che l’informazione scientifica fa fatica ad avere un pubblico trasversale, perché il mondo dei social si è diviso in camere dell’eco da cui ognuno di noi non vuole uscire. E così succede che il messaggio della scienza viene recepito solo da chi è già predisposto ad accettarlo. Credo sia una cosa molto triste”.
Ma c’è un antidoto a questo fenomeno, chiediamo? “L’antidoto è culturale, e richiede di sviluppare un linguaggio diverso per ogni tipo di interlocutore. Se si parla a un gruppo di evangelici, per esempio, non ci si può riferire soltanto ai risultati scientifici, ma bisogna anche saper fare riferimenti precisi alla Bibbia, alle Scritture, al Custode del Giardino dell’Eden. Bisogna insomma mettersi in sintonia con chi si ha di fronte e questo è un lavoro difficilissimo, che spesso va oltre le competenze e la disponibilità di tempo di chi fa ricerca. Anche per questo motivo il lavoro dei giornalisti che fanno divulgazione scientifica è fondamentale”. ©ON ENERGY
Il fumo di enormi incendi nella tundra siberiana si eleva verso l’atmosfera, scaricando il suo contenuto di anidride carbonica e altri gas serra. La foto è stata ripresa lo scorso 19 luglio dal satellite della NASA Landsat 8.