Paolo Dario, direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e del Polo Sant’Anna Valdera.
Paolo Dario, una delle voci più autorevoli di robotica italiana nel mondo, ci spiega come i robot siano capaci di stare al nostro fianco nella vita di tutti i giorni, ma anche in momenti di straordinaria difficoltà come quello attuale.
di Riccardo Oldani
Hanno dato una grossa mano e continuano a darla. Durante la pandemia i robot si sono rivelati estremamente utili anche se, come sempre, hanno lavorato silenziosi, sottotraccia, senza reclamare meriti. Qualcuno sostiene che avremmo potuto farci trovare più pronti, con macchine già in grado di entrare in scena nei reparti di terapia intensiva, negli ospedali, ma anche nelle fabbriche e nei magazzini di logistica, per ridurre l’impatto di Covid-19 sulla salute e sull’economia. Altri sottolineano invece l’enorme contributo che queste macchine sono riuscite comunque a dare in una situazione totalmente inaspettata, in cui tutta l’umanità, dai paesi più ricchi a quelli meno sviluppati, si è fatta cogliere di sorpresa.
Il robot di disinfezione messo a punto dal laboratorio di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con la spinoff Co-Robotics, per il progetto Samaritan, in corso a Massa.
UN MESSAGGIO IMPORTANTE
Come dobbiamo guardare, quindi, all’apporto che i robot sono riusciti a dare e possono ancora fornire in un momento estremamente delicato? Ne abbiamo parlato con Paolo Dario, uno tra i robotici italiani più conosciuti a livello internazionale, fondatore dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, centro di ricerca tra i più attivi nel mondo nell’immaginare e progettare nuove tipologie di robot. Dario ha contribuito a formare schiere di ricercatori, ha proposto idee innovative e sempre posto l’Italia al centro delle iniziative che ha promosso per lo sviluppo robotico. È anche tra i fondatori della rivista scientifica più autorevole al mondo in questo complesso e affascinante ambito di ricerca, “Science Robotics”. Insieme ai 12 colleghi che ne compongono l’Advisory Board, ha lanciato, attraverso un editoriale pubblicato lo scorso marzo, un appello per coordinare e sostenere in modo più attivo una ricerca che si sta rivelando di importanza vitale.
La soluzione robotizzata, che impiega il cobot YuMi di ABB, sviluppata da ricercatori del Politecnico di Milano per supportare gli ospedali italiani nell’esecuzione di test sierologici per il coronavirus.
STRUMENTI UTILI
In che cosa possono rendersi utili i robot contro Covid-19 o in situazioni simili che potrebbero verificarsi in futuro? Almeno in quattro attività fondamentali, hanno sottolineato gli autori dell’editoriale di “Science Robotics”: assistere il personale e i pazienti negli ospedali; contribuire alla logistica delle strutture sanitarie; sorvegliare il rispetto della quarantena, quando necessario, ma anche, e soprattutto, mantenere attive le “funzioni socioeconomiche” di un mondo che non può sottrarsi dal produrre per creare benessere diffuso. In altre parole, i robot possono garantire il funzionamento di fabbriche e magazzini in frangenti in cui le attività umane sono limitate e il benessere dei cittadini dipende dalla capacità di mantenere viva la catena produttiva e distributiva in tutti i settori, dall’alimentare alla produzione di materiale sanitario.
Robert è un robot “fisioterapista”, che consente di supportare i professionisti nella riabilitazione mantenendo il distanziamento sociale.
DUE PROGETTI IN TOSCANA
Durante i picchi dell’emergenza, si sono viste molte soluzioni in cui robot già esistenti sono stati adattati, con ottimi risultati, a svolgere compiti per i quali non erano stati inizialmente progettati. Un esempio è l’igienizzazione degli ambienti ospedalieri effettuata attraverso robot in grado di diffondere raggi UV per un tempo prolungato in un ambiente, in modo da distruggere tutti gli eventuali patogeni.
“Noi siamo pronti”, ci confida Paolo Dario. “Abbiamo messo a punto un robot mobile per la disinfezione ora attivo a Massa all’ospedale G. Pasquinucci della Fondazione Monasterio”. L’iniziativa ha preso il nome di progetto Samaritan, e dopo alcune difficoltà iniziali, legate alle restrizioni alla ricerca imposte dal lockdown, è diventata operativa, anche grazie al sostegno economico della Fondazione Marmo di Carrara e il contributo della Fondazione filantropica “Il Talento all’Opera”. Il nuovo robot mobile sanifica e disinfetta ambienti e superfici mediante lampade a raggi ultravioletti UV-C e può essere usato per la disinfezione all’interno di sale operatorie, sale di attesa, pronto soccorso e in qualunque altro luogo dove si possono creare assembramenti, con il conseguente aumento del rischio di trasmissione del coronavirus ma anche di qualsiasi altro patogeno. L’automa è stato battezzato Mover-UVC ed è frutto del lavoro di ricerca del Laboratorio di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, diretto da Paolo Dario, e dello sviluppo da parte della spinoff Co-Robotics.
Molto simile è anche un altro progetto, Robotica Restart, realizzato sempre grazie alla fondazione “Il Talento all’Opera” e finanziato, questa volta, da un soggetto profit, Reale Group. È coordinato da un altro ricercatore del Sant’Anna, Antonio Frisoli, e coinvolge strutture sanitarie della Fondazione Monasterio e dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana. La sperimentazione è partita a settembre 2020.
Concept di robot assistente ospedaliero in grado di manipolare oggetti sviluppato dall’azienda statunitense Diligent Robotics.
OCCASIONE PERSA
L’emergenza Covid-19 sta quindi dando una forte spinta alla ricerca, ma la scommessa è pianificare, non cercare soluzioni improvvisate dettate dall’urgenza. “Sviluppare robot è complesso e richiede anni, così come avviene per gli aerei o per i treni ad alta velocità”, spiega Paolo Dario. “Noi avevamo già pensato a sviluppare vari tipi di robot, terrestri, aerei e anche sottomarini, da affiancare alla Protezione Civile nei momenti di crisi, per esempio in terremoti, inondazioni o epidemie, e da usare in casa come servitori nella normalità. Sono quelli che da sempre definiamo robot “companion”, compagni dell’uomo. Quando, una decina di anni fa, l’Europa decise di lanciare le Flagship per la ricerca, grandi progetti decennali con un miliardo di finanziamenti, proponemmo l’idea di svilupparli. Non vincemmo però, e la stessa cosa si è ripetuta lo scorso anno con un analogo progetto coordinato dalla collega Cecilia Laschi. E questo, a mio parere, è stato un grande errore da parte della Commissione Europa”.
COMPAGNI PER L’UOMO
Se dunque dieci anni fa l’Europa avesse creduto di più a questo progetto di matrice italiana, forse oggi avremmo robot ancora più capaci di quelli attuali di darci una mano nel fronteggiare l’emergenza. Dario ricorda la vicenda, non per recriminare ma per trarre insegnamenti per il futuro. “Avevo proposto una visione”, dice, “con l’idea di un progetto che chiamammo Robots Companion for Citizens. Dieci anni servono per progetti di questo tipo, perché progettare robot con certe caratteristiche richiede tempo, così come avviene per lo sviluppo di un aereo di nuova concezione o di un treno ad alta velocità. Parliamo di imprese tecnologiche che richiedono sforzi coordinati, di lungo termine e ben finanziati. Avevamo già pensato, in precedenza, a una sorta di corpo robotico al servizio della Protezione Civile, composto da macchine di tutti i tipi – sottomarine, terrestri o aeree – capaci di intervenire in soccorso, ovviamente accanto agli uomini, in momenti di difficoltà, causate da terremoti, inondazioni e anche da pandemie. Robot che poi nella vita civile fossero anche buoni servitori nelle nostre case, per aiutarci nelle faccende domestiche. La base tecnologica sarebbe stata la stessa, basata sull’idea di una robotica capace di uscire dal recinto della casa e trasformarsi per operare a stretto contatto con l’uomo”.
TRASFORMARE IL SOGNO IN REALTÀ
Un’idea che rispondeva a un antico sogno. “Ho sempre avuto in testa”, dice Dario, “di realizzare robot di questo tipo e da ingegnere poi ho sempre cercato di trasformare i progetti in realizzazioni concrete. I robot umanoidi descritti dalla fantascienza, quelli che per esempio tutti quanti abbiamo visto in film come Io Robot, sono un bellissimo modello di quello che vorremmo fare. E anche, certamente, un esempio di quello che vorremmo evitare, se teniamo presente la parte distopica di quel film, in cui i robot diventano strumenti di oppressione. Ma, al di là di queste riflessioni, devo dire che l’idea di realizzare robot in grado di intervenire in un’emergenza epidemica non nasce certamente oggi ed era già in nuce nel progetto che presentammo alla Commissione Europea. Purtroppo, allora la nostra flagship arrivò terza, dopo quella sul grafene e quella su Human Brain, che furono le due finanziate. Perdemmo per poco e fu un vero peccato, perché il gruppo coordinatore della flagship era italiano e avremmo potuto avere la possibilità di essere alla guida dello sviluppo di questa grande tipologia di robot ‘compagni’. L’anno scorso ci abbiamo riprovato, con una proposta questa volta coordinata dalla mia collega Cecilia Laschi e abbiamo perso ancora, questa volta perché si è preferito puntare a livello europeo sull’intelligenza artificiale”.
Un robot utilizzato nell’aeroporto Changi di Singapore per il controllo delle persone in entrata. Misura anche la temperatura corporea.
CONTATTO UOMO-MACCHINA
Ci sarebbe molto da discutere su queste scelte, fa notare Dario, ma “in ogni caso noi non ci siamo fermati. Siamo andati avanti e abbiamo sviluppato una serie di tecnologie robotiche. Qualche anno fa, e questo è accaduto soprattutto per merito dell’Europa, e anche della ricerca italiana, abbiamo introdotto un nuovo concetto di robot, quello collaborativo, o cobot. Fino a qualche tempo fa il robot non poteva toccare un essere umano, perché era pericoloso, anche per una serie di limiti della tecnologia. Oggi però sappiamo fare i robot collaborativi, che stanno conquistando fette sempre più importanti del mercato”. Insomma, oggi i robot sono in grado di entrare in contatto fisico con gli esseri umani, sono “autorizzati” a farlo. “Questa è stata una grande rivoluzione”, osserva Paolo Dario. “Noi oggi siamo colpiti molto dalle conquiste dell’intelligenza artificiale e del deep learning, ma di fatto la possibilità che un robot possa entrare in contatto fisico con l’uomo è una novità straordinaria. Ci dice che di fatto siamo in grado di realizzare macchine robotiche che possono interagire costantemente con gli esseri umani. Non parliamo più di una cooperazione gestuale o di comunicazione, ma di un contatto fisico. E questa capacità acquisisce valore e importanza in un contesto come quello dell’epidemia di Covid-19”.
DISINFEZIONE DEGLI OSPEDALI
Un’altra conquista fatta dalla ricerca è stato lo sviluppo di sistemi di navigazione sempre più efficaci che consentono ad automi mobili e volanti di orientarsi in un ambiente, trovare la loro strada e spostarsi autonomamente. “Questa tecnologia”, osserva ancora Dario, “ci consente di realizzare robot per la disinfezione degli ambienti, come quello che sta operando a Massa. Pare una cosa da poco, ma non è così. Un buon padre di famiglia si sarebbe dovuto preoccupare già anni fa di sviluppare strumenti di questo tipo, perché sappiamo benissimo che i nostri ospedali sono infestati permanentemente da “superbugs”, come vengono chiamati, cioè da batteri antibiotico-resistenti che abbiamo in qualche modo “allevato”, con particolare predilezione per gli ospedali. Il problema dell’igiene nelle strutture sanitarie è quindi importantissimo, e lo è ancora di più di questi tempi. Non dico che si debba esagerare con l’igiene, perché altrimenti corriamo il rischio di creare generazioni di bambini incapaci di sviluppare difese immunitarie. Però la virtù sta nel mezzo. Quindi pulire di più è meglio è importante oggi. E i robot potrebbero essere i nostri compagni nel pulire tutto: le strade, le piazze, l’interno delle case, i bagni e i luoghi di utilizzo pubblico, compresi gli ospedali. Immaginate una schiera di robot che lavorano in modo coordinato per la disinfezione del nostro mondo”. La Scuola Sant’Anna ha dimostrate di saper fare benissimo queste macchine, che un tempo erano immaginarie.
ASSISTENZA IN CORSIA
Ma non è questo l’unico impiego che le macchine intelligenti potrebbero avere in questa congiuntura. “Altri utilizzi”, suggerisce Dario, “riguardano i robot capaci di avvicinarsi ai letti dei pazienti e di dialogare con loro, consentendo la comunicazione con la famiglia o con i sanitari. È un uso che abbiamo visto in molti ospedali italiani e che si può realizzare con una certa semplicità, utilizzando una piattaforma robotica esistente e programmandola. Una cosa che mi ha colpito favorevolmente è una notizia emersa da un ospedale di Rimini, dove questa applicazione è stata realizzata, che riporta come i pazienti abbiano assai gradito questo tipo di soluzione. In particolare, è piaciuta la possibilità di comunicare con altre persone attraverso il display del robot, perché vedere l’immagine sorridente di un congiunto, di un medico o di un infermiere è qualcosa che rincuora il paziente. Non c’è la vicinanza fisica, è vero, ma in quei reparti gli addetti del personale sanitario sono vestiti con tute che li fanno sembrare quasi degli alieni, con l’effetto di trasmettere ansia anziché di tranquillizzare. Ci sono pazienti che preferiscono vedere una faccia sorridente su un display. Questo per dire che nell’impiego dei robot si rivelano poi risvolti che è difficile immaginare quando li si progetta”.
Robot per la consegna automatica di cibo nelle abitazioni durante il lockdown a Fairfax, una cittadina della Virginia (USA).
SUPPORTO SANITARIO
Ci sono anche altre applicazioni possibili al contatto fisico. Torniamo qui al tema dei cobot, dei robot collaborativi. “Oggi potremmo facilmente realizzare”, osserva Paolo Dario, “anche se non lo abbiamo ancora fatto, robot teleoperati o supervisionati da personale medico in grado di eseguire i tamponi per il Covid-19. Servirebbero a ridurre molto il rischio di contagio. Lo stesso vale per un’altra operazione delicata, l’intubazione, che potrebbe essere realizzata da robot con tecniche simili a quelle che già vediamo applicate in piattaforme chirurgiche come Da Vinci, già ampiamente diffuse nei nostri ospedali. Il chirurgo opera a distanza di sicurezza e il robot agisce sul paziente, secondo un modello ampiamente sperimentato. Altre operazioni eseguibili da robot possono essere le movimentazioni dei pazienti, l’aiuto fisico per svestirli e rivestirli, il prelevamento di indumenti od oggetti che devono essere sottoposti a disinfezione”.
ANALISI PIÙ RAPIDE
Un’altra area di intervento robotico assolutamente fattibile con le tecnologie di oggi riguarda la velocizzazione e automazione delle analisi di laboratorio. “Oggi i robot si potrebbero rendere utili”, suggerisce Dario, “non solo per eseguire i tamponi ma anche per condurre i test sierologici nell’ambito di importanti studi di carattere immunologico, biologico e farmacologico. E in effetti, la maggior parte dei laboratori di analisi dei grandi ospedali sono già robotizzati. Tra l’altro, il nostro laboratorio di Biorobotica ha un’importante collaborazione con una delle principali aziende attive nell’automazione ospedaliera. Per cui, si potrebbe facilmente velocizzare l’esecuzione di questi test, seguendo metodi di analisi accurati e robusti. Questo ci consentirebbe di lanciare una campagna automatizzata di test estesa a tutta la popolazione che, in attesa di un vaccino, si rivelerebbe assai utile per uscire più rapidamente dalla crisi”.
UN AIUTO LOGISTICO
E poi anche tutta la catena logistica, quella più nascosta perché opera nelle retrovie, potrebbe trarre un indubbio vantaggio dall’impiego dei robot. “Penso”, dice Dario, “alla necessità di rifornire gli ospedali di materiale sanitario, ma anche alla distribuzione di merci su tutto il territorio. Se osserviamo in retrospettiva quanto è accaduto in questa crisi, un indubbio vantaggio di cui ha goduto la Cina rispetto a noi è che, pur chiudendo un grande territorio come quello dell’Hubei, con una popolazione di 60 milioni di persone paragonabile a quella dell’Italia, tutto il resto del paese, con oltre un miliardo di persone, ha continuato a lavorare. Il problema dell’Italia, e se vogliamo dell’Europa, è che se chiudiamo l’intero paese ci troviamo senza la catena dei rifornimenti. Dobbiamo quindi pensare che i robot, in circostanze di emergenza e per certi periodi, possono ovviare a questo problema e che organizzarsi di conseguenza sarebbe un’idea saggia”.
LEADER DEL MONDO
Riemerge, insomma, l’idea di sviluppare un insieme di robot di tutti i tipi, terrestri, marini, volanti. Nostri compagni, che in tempo normali possano affiancarci nei lavori quotidiani e ci aiutino, in emergenze come quella del Covid-19, a mantenere intatto e funzionante il sistema socioeconomico. Ed è da qui che scaturisce un messaggio più profondo e orientato al futuro. “L’Italia e l’Europa”, dice con forza Paolo Dario, “sono leader nel mondo in campo robotico. Non intendo ‘fra i leader’, ma voglio proprio dire che siamo l’avanguardia della filiera robotica nel pianeta. A partire dall’educazione. In questi anni abbiamo formato schiere di giovani eccezionali, che ora sanno perfettamente che cosa sono queste macchine straordinarie e come si fanno. Sappiamo fare la ricerca, la più avanzata nel mondo, in tutti i settori e non soltanto in nicchie specifiche. Abbiamo una grandissima capacità di lavorare in modo interdisciplinare. Abbiamo fondato la roboetica, che si preoccupa anche delle implicazioni morali dell’impiego dei robot a fianco all’uomo. Abbiamo centri d’eccellenza sulla regolazione della robotica. Abbiamo le industrie, sia quelle grandi che quelle piccole. Insomma, sappiamo fare i robot. Noi siamo pronti”.
Consegna di cibo takeaway effettuata con un braccio robotico in un ristorante di Philadelphia (USA).
L’INTELLIGENZA NON SOLLEVA PESI
Eppure, nonostante questo, sembra che altri settori attraggano di più l’attenzione di coloro che devono decidere programmi e investimenti per il futuro. Il riferimento è, in particolare, all’intelligenza artificiale, su cui Paolo Dario ha un pensiero molto preciso. “Sarebbe importante”, osserva, “capire bene la differenza fondamentale tra intelligenza artificiale e la robotica, che emerge in modo quanto mai evidente in questi giorni. L’intelligenza artificiale ci consente di creare conoscenza, di comunicare, di elaborare dati e costruire modelli, ma ha un limite, qualcosa che non è in grado di fare e non saprà mai fare. E cioè, per dirla sinteticamente, non è capace di sollevare pesi. Questo va detto chiaramente, altrimenti continuiamo a promuovere il mito che considera l’intelligenza computazionale sia in grado di fare tutto. Non è vero. Noi abbiamo bisogno di macchine che ci aiutino materialmente, sollevando pesi, raccogliendo frutti, spostando oggetti. È curioso notare come molti, troppi non considerino questo aspetto”.
QUESTIONE DI PRIORITÀ
E poi Dario si concentra anche su un altro aspetto: “Tutti incalzano sul fatto che dobbiamo accelerare la ricerca sull’intelligenza artificiale per non perdere terreno rispetto a Stati Uniti o Cina, e pochi, invece, ragionano sul fatto che noi sappiamo fare i robot meglio degli altri. Noi siamo maestri nel manifatturiero, sappiamo come produrre oggetti e beni. Forse non sapremo fare l’intelligenza artificiale come nella Silicon Valley, ma noi sappiamo costruire macchine intelligenti e robot. Le nostre aziende lo sanno fare. Quindi perché dobbiamo inseguire qualcosa su cui possiamo considerarci, di fatto, in retroguardia, anziché concentrare le nostre energie per far crescere qualcosa che sappiamo fare meglio degli altri?”.
Su questo aspetto lo scienziato indugia, per chiarire bene il suo pensiero: “Non vorrei che qualcuno mi interpretasse male: non sto dicendo che dobbiamo rinunciare alla ricerca sull’intelligenza artificiale. Ma non dobbiamo sottovalutare quanto emerge in modo molto chiaro con questa crisi. In una terapia intensiva quale apporto concreto può dare l’intelligenza artificiale? E quale apporto potrebbero invece dare i robot?”.
LABORATORI SUL TERRITORIO
Il supporto alle persone, in particolare agli anziani, è un vecchio pallino di Paolo Dario. Un’idea che lo ha portato a fondare, in provincia di Pisa, in un paesino di poche migliaia di abitanti chiamato Peccioli, un laboratorio che riproduce un’abitazione vera e propria, in cui scienziati e ricercatori sviluppano robot in collaborazione con la popolazione locale, che esprime opinioni e preferenze e valuta l’efficacia delle soluzioni. Sono soprattutto over 65, persone che sempre di più in futuro avranno bisogno di un’assistenza che i robot sono idealmente predisposti a dare. “Noi stiamo continuando con convinzione nella direzione indicata dal lavoro fatto a Peccioli”, dice Dario, “per esempio con il progetto Pharaon, finanziato dall’Unione Europea e coordinato da un mio collaboratore, Filippo Cavallo. Parliamo di 21 milioni di euro per mettere i robot al servizio della popolazione più fragile in una serie di siti in tutta Europa, modellati proprio come Peccioli. Già oggi molti di questi robot potrebbero essere utilizzati nelle residenze sanitarie assistite, le Rsa tanto colpite dal virus, evitando le situazioni disastrose di cui abbiamo letto tutti”.
MENO CICALE, PIÙ FORMICHE
La speranza di Paolo Dario è che quanto stiamo vivendo, insieme all’incredibile potenziale dimostrato dai robot, consentano agli uomini di aprire gli occhi. “Gli esseri umani”, dice, “continuano a comportarsi da cicale, come se il sole o l’estate non dovessero finire mai. E invece dovremmo essere più formiche che lavorano in previsione dell’inverno. Questo è quanto noi ricercatori abbiamo sempre fatto, in qualche modo. Noi ammassiamo il cibo per l’inverno e, parlando di robot, possiamo dire che abbiamo creato grandi scorte per alimentare gli sviluppi futuri di questa disciplina. In Italia abbiamo creato l’I-RIM, l’Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti, avviando uno sforzo nazionale con cui vorremmo dare vita a un’iniziativa estesa su tutto il paese. Poi abbiamo lanciato un bando straordinario, nell’ambito del Competence Center Artes 4.0 voluto dal ministero dello Sviluppo Economico. Aveva una dotazione di 550 milioni di euro iniziali, a cui poi si sono aggiunti altri contributi pubblici e privati, per sostenere progetti robotici innovativi da parte di imprese italiane, proprio sui temi del Covid-19. L’iniziativa ha riscosso un notevole interesse e ha aperto un canale di finanziamento veloce per sviluppare soluzioni concrete. Insomma, non ci lamentiamo perché l’Europa non ci ha fatto fare i robot 10 anni fa. Il nostro spirito è di darci da fare per farci trovare sempre più pronti in futuro”.
Il robot R80 del produttore cinese XAG per la disinfezione delle strade, in azione. È derivato da un robot per impiego agricolo.
FOCUS 1: CHI È PAOLO DARIO
Paolo Dario si è laureato in Ingegneria Meccanica presso l’Università di Pisa, ed è Professore Ordinario di Robotica Biomedica presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È attualmente Direttore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e del Polo Sant’Anna Valdera, centro di ricerca situato a Pontedera. È titolare di corsi di laurea presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e presso l’Università di Pisa. È stato Visiting Professor presso numerose università, fra le quali la Brown University e la University of Pennsylvania, USA; l’Ecole Politéchnique Fédérale di Lausanne, Svizzera, il MEL (Mechanical Engineering Laboratory), il Collège de France e la Waseda University, Giappone; l’Accademia Sinica, la Tianjin University e la Zhejiang University, Cina.
I principali interessi di ricerca di Paolo Dario sono nel campo della biorobotica, e della robotica per chirurgia, per microendoscopia e per riabilitazione. Su questi temi ha pubblicato oltre 180 articoli su riviste internazionali (ISI), e oltre 300 fra capitoli di libri e articoli in atti di congressi, ricevendo premi scientifici per alcuni di essi. È titolare di circa 50 brevetti internazionali.
È stato ed è coordinatore di numerosi e grandi progetti di ricerca nazionali e, soprattutto, internazionali, la maggior parte di questi ultimi finanziati dalla Comunità Europea.
Ha inoltre promosso la creazione di numerose aziende ad alta tecnologia nate dalla ricerca in laboratori da lui fondati e coordinati, come l’ARTS Lab e il CRIM Lab, per la ricerca in robotica avanzata e la micro e nanoingegneria. In queste imprese oggi lavorano oltre 150 laureati, la maggior parte dei quali ha conseguito il dottorato di ricerca presso i laboratori della Scuola Superiore Sant’Anna.
FOCUS 2: LA CINA CAPOFILA
Nel vasto panorama di soluzioni robotiche schierate per contrastare la pandemia è la Cina la capofila, non soltanto perché è stata la prima a essere colpita da Covid-19, ma anche per la scelta strategica di automatizzare e robotizzare in modo intensivo gli ospedali, in particolare con carrelli robotici che trasportano pasti o forniture mediche nelle strutture.
Robot di servizio, abitualmente usati per intrattenimento o per fornire informazioni, sono stati attrezzati con sensori per rilevare la temperatura corporea negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie e anche nelle vie cittadine. Due produttori cinesi, Beijing Orion Star Technologies e Cheetah Mobile, hanno messo a punto una piattaforma robotica che fornisce consulti a distanza e mascherine in due ospedali a Pechino, uno a Wuhan e uno a Zhengzhou. I gruppi China Mobile e CloudMinds hanno donato 12 robot con connessione 5G all’ospedale di Wuchang, in Hubei, per misurare la febbre, consegnare i pasti e sterilizzare gli ambienti.
Automi teleguidati sono stati impiegati nella città di Taiyuan per la disinfezione di zone residenziali.
La Cina ha inoltre piazzato un ordine a un produttore danese di robot per la disinfezione con raggi ultravioletti che opereranno in circa 2.000 ospedali.
FOCUS 3: ASSISTENTI IN CORSIA
Si muovono su ruote e sorridono sempre. Sono i sei robot sociali che aiutano i sanitari ad assistere i malati di Covid-19 all’ospedale di Circolo di Varese, lavorando tra i letti dei degenti che non hanno fortunatamente bisogno della terapia intensiva. A metterli a punto è stata Orobot, una startup innovativa di Padova, nata nel 2017. “Ci serviamo di robot reperibili sul mercato”, spiega l’Amministratore Delegato Matteo Cestari, “ai quali diamo istruzioni su come muoversi e comportarsi attraverso un sistema di intelligenza artificiale, chiamata Vivaldi”. Un’ulteriore funzione, chiamata Call Robot, consente, spiega Cestari, “di centralizzare il loro controllo su un unico desk di comando. Un operatore può così controllare più pazienti e comunicare con loro, restando fuori dalla cosiddetta area sporca e verificando di che cosa abbiano bisogno”. Il vantaggio si concretizza in un minor transito del personale sanitario tra le camere dove si trovano i pazienti e le aree neutre, riducendo i rischi di contagio e anche l’utilizzo di mascherine, quanto mai preziose. La soluzione nasce da una collaborazione con l’Università Federico II di Napoli e si presta a futuri sviluppi. «Al momento i nostri robot servono essenzialmente per comunicare”, dice Cestari, “ma stiamo cercando di attivare nuove funzioni sulla base delle indicazioni che ci provengono dal reparto. Del resto, i nostri robot non intendono essere uno strumento sanitario, ma un supporto per il personale”.
FOCUS 4: LA CHIAVE È NELLA LOGISTICA
“Il futuro degli ospedali risiede in una sempre maggiore automazione della logistica e del laboratorio di analisi. In questo la Cina è davanti a tutti seguita da Francia e Germania. L’Italia è ancora indietro”. Alberto Beretta, Amministratore Delegato di Oppent, ha le idee chiare sulla lezione lasciata dall’epidemia di Covid-19: il personale negli ospedali deve essere sgravato da operazioni ripetitive per occuparsi di quelle essenziali. L’azienda, fondata da suo padre nel 1960, si è occupata fin dall’inizio di sistemi di posta pneumatica per gli ospedali, oggi in grado di trasferire ad alta velocità campioni biologici e provette con i prelievi di sangue.
“Da una quindicina d’anni”, dice, “abbiamo sposato la robotica, in particolare i mobile robot”. Cioè carrelli che oggi sono capaci di muoversi in autonomia negli ospedali trasportando farmaci, pasti, biancheria sporca, rifiuti contaminati. Sono 15 gli ospedali italiani che usano questi sistemi, con una domanda in crescita. Ancora pochi rispetto ai circa 90 della Francia.
L’evoluzione continua. “Nel 2019”, conclude Beretta, “abbiamo lanciato un robot che sposta i letti e tra 4 o 5 mesi saremo pronti con un braccio robotico, montato su un carrello intelligente, per spostare i rack di provette all’interno dei laboratori di analisi. Presto avremo automi per monitorare i parametri vitali e trasferirli automaticamente nella cartella digitale dei pazienti”. La strada è tracciata, non resta che seguirla.
FOCUS 5: IGIENE CON GLI ULTRAVIOLETTI
La Cina ne ha appena comprati 2.000. In Italia, quelli operativi e funzionanti sono una dozzina. Sono gli UVD Robots, prodotti in Danimarca dall’omonima società, parte del gruppo Blue Ocean Robotics. Ci spiega come funzionano Stefano Broglia, di Nanutech, l’azienda che li distribuisce in Italia: “Questi robot emettono luce ultravioletta ad alta intensità, in grado di distruggere al 99,99999% organismi come batteri e virus, compreso il coronavirus SARS-CoV-2”. L’unica avvertenza è impedire l’accesso alle persone mentre il robot, dotato di sensori Lidar e di due telecamere per muoversi autonomamente, effettua la disinfezione. Bastano tra i 10 e i 30 minuti, a seconda delle dimensioni dell’ambiente. “Le richieste delle aziende sanitarie si stanno moltiplicando in questo periodo”, commenta Broglia, “ma il problema in Italia è la burocrazia: può passare anche un anno prima che l’acquisto si concluda”.
In questa emergenza gli UVD Robots possono rendersi utili per la disinfezione di tutto l’ospedale, dai reparti di degenza per malati Covid ai corridoi. “Consentono anche”, osserva Broglia, “di trattare le sale operatorie dopo ogni intervento, cosa impossibile con i sistemi a ozono o a perossidi, contribuendo così a ridurre le infezioni intraospedaliere”. Che sono oltre 500 mila all’anno in Italia, con costi di gestione e legali altissimi. ©WE ROBOTS
UVD-Robot, la soluzione per la disinfezione con raggi ultravioletti sviluppata dall’azienda danese Blue Ocean Robotics.