La lotta alle malattie rare passa attraverso le nanotecnologie. Un gruppo di medici e ricercatori dell’università di Padova appartenenti alla fondazione Brains for Brain (www.brains4brain.org) sta mettendo a punto un metodo per il trattamento della leucodistrofia metacromatica (MLD), che utilizza nanoparticelle. La MLD è una malattia genetica grave causata dalla mancanza dell’enzima arilsolfatasi A (ASA) all’interno dei lisosomi; i bambini affetti da questa patologia nascono sani, ma nel giro di pochi anni perdono le loro capacità vitali perché il deficit enzimatico causa un malfunzionamento dei lisosomi. Gli organelli non sono più in grado di trasformare il nutrimento in energia e provocano un accumulo di sostanze tossiche all’interno delle cellule, in particolare di quelle cerebrali; s’instaura così un meccanismo di degenerazione cellulare che manda in tilt tutto il sistema.
La ricerca prevede l’impiego di nanoparticelle di dimensione media di 400-500 nanometri, cui è accoppiato l’ASA. Le molecole così composte riescono a veicolare l’enzima attraverso la barriera emato-encefalica tramite endocitosi delle cellule endoteliali dei capillari sanguigni del cervello e raggiungono direttamente il sistema nervoso centrale. Una volta chiarite le modalità di trasporto, resta da affrontare il problema dei materiali: le nanoparticelle ad uso biomedicale devono essere in materiale biocompatibile e biodegradabile, per evitare che stazionino troppo nell’organismo. Per questo motivo si stanno valutando l’efficacia e la biocompatibilità di nanoparticelle di diversi materiali, con lo scopo di individuare la soluzione che offre il miglior compromesso possibile.
La ricerca, che sta dando promettenti risultati, è parte di un programma europeo per la cura della MLD che coinvolge i maggiori specialisti del settore ed è suddivisa in diversi progetti tra loro indipendenti ma interconnessi, allo scopo di individuare nuovi approcci terapeutici alla malattia, che spaziano dalla sostituzione enzimatica al trapianto di cellule staminali. Tutte le scoperte potranno essere applicate anche ad altre malattie neurodegenerative dell’età adulta (ad esempio Parkinson, Alzheimer, SLA), per le quali c’è ancora molto da fare. Se si tiene conto che, secondo l’OMS, una persona su 10 nell'arco della propria vita svilupperà una malattia neurologica grave, si può comprendere ancora meglio l’enorme portata del progetto in corso.
(Claudia Pirotta)