L’umanoide Ameca, presentato lo scorso dicembre dall’azienda britannica Engineered Arts.
Fino a pochi anni fa sembrava impossibile che gli umanoidi potessero trovare uno spazio sul mercato. Ora invece produttori e sviluppatori la pensano diversamente. Perché? Ecco le ragioni che stanno determinando questo cambiamento.
di Riccardo Oldani
Finora siamo stati abituati a vedere i robot umanoidi nei film di fantascienza o nei laboratori di ricerca. In Italia, tra l’altro, abbiamo una grande tradizione ed expertise nello sviluppo sperimentale di questo tipo di automi. I laboratori dell’IIT di Genova, così come quelli della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, del Centro Ricerche Enrico Piaggio, sempre di Pisa, e dell’Università di Napoli Federico II, così come i Leonardo Labs del Politecnico di Milano, hanno tutti quanti sviluppato androidi negli anni recenti (ne abbiamo scritto spesso su WE ROBOTS). Lo scopo di questi progetti era soprattutto verificare la loro capacità operativa in situazioni reali, ma anche le interazioni che si creano tra gli uomini e queste macchine che tanto ci assomigliano. Motivi di studio, quindi, finalizzati a ulteriori sviluppi.
Ameca ha capacità di gestualità ed espressive fuori dal comune, rese possibili sia dal progetto ingegneristico che dall’intelligenza artificiale di cui è dotato.
LO STUPEFACENTE AMECA
Ora però sembra che dalla fase sperimentale stiamo passando alle applicazioni concrete. Anche i più distratti non avranno potuto evitare di notare, lo scorso dicembre, il lancio in grande stile del robot umanoide Ameca, della società britannica Engineered Arts. L’androide, di cui sono circolati video estremamente eloquenti sul web, ha una naturalezza di movimenti e una mimica espressiva assolutamente stupefacenti. Ma oltre a questo colpisce l’operazione imprenditoriale che sta alle spalle di Ameca. Il primo esemplare è stato volutamente presentato con un corpo e un viso grigi perché, più che altro, è una piattaforma robotica che può essere personalizzata con le sembianze, le capacità operative e anche gli atteggiamenti voluti dai committenti.
Ameca è una piattaforma robotica e software che consente lo sviluppo di soluzioni personalizzate.
PIATTAFORMA PERSONALIZZABILE
“Ameca”, dice il direttore operativo di Engineered Arts Morgan Roe, “integra in un corpo artificiale un’intelligenza artificiale, per dar vita a una tecnologia avanzata in grado di esprimere movimenti e gesti di livello superiore, alloggiati in una forma umana e con un viso robotico per realizzare un’integrazione gender-neutral e amichevole in una società inclusiva”. La serie di robot Ameca adotta soluzioni di interazione intelligente e un sistema software aperto a ogni tipo di sviluppo futuro, in grado di combinare intelligenza artificiale, computer-vision e apprendimento adattativo in modo da realizzare programmi di interfaccia completamente personalizzati. In altre parole, sulla base di questa piattaforma un committente potrà richiedere a Engineered Arts lo sviluppo di un umanoide su misura per le sue necessità operative. L’azienda si impegna a realizzarlo in quattro mesi.
Il robot RoBee insieme con Fabio Puglia, fondatore e presidente di Oversonic, l’azienda di Besana Brianza (MB) che lo ha sviluppato e che lo produce.
L’ITALIANO ROBEE
Il lancio di Ameca segue di qualche mese quello avvenuto in Italia di RoBee, un umanoide sviluppato da un’azienda brianzola che si chiama Oversonic. RoBee è il primo androide, dicono i suoi creatori, a nascere espressamente per i bisogni dell’industria. Non è molto alto, circa un metro e cinquanta, ed è di corporatura robusta. La testa è candida, con una bocca mobile che apre e chiude quando parla e un paio di occhi azzurri che si muovono vivaci. In realtà sono solo due simulacri, realizzati a beneficio delle relazioni con le persone, perché la capacità di visione è assicurata da telecamere inserite nella fronte. Il resto del corpo è nero, vivacizzato da una sorta di giubbetto acquamarina, almeno nella versione che abbiamo visto durante la presentazione, avvenuta lo scorso 27 settembre.
RoBee interagisce con il suo interlocutore. L’automa è stato progettato per avere scambi anche di tipo sociale con le persone.
BRACCIA PER AFFERRARE
Le braccia sono lunghe e robuste. La sinistra è dotata di una mano a cinque dita in tutto simile alla nostra, la destra termina in una pinza di presa industriale, che la rende simile a un braccio robotico collaborativo. RoBee ha anche due gambe, che per il momento poggiano su un carrello a ruote in grado di muoverlo in modo autonomo, e riconoscendo gli ostacoli, in qualsiasi ambiente.
Il robot è anche in grado di interagire in modo alquanto convincente con le persone. Risponde alle domande, anche con una certa arguzia, esegue gli ordini, è in grado di afferrare oggetti e di sollevare fino a 5 kg, e può leggere, in diverse lingue.
RoBee è anche in grado di leggere messaggi, come quelli di pericolo esposti negli stabilimenti, di comprendere il linguaggio naturale e di tradurlo in azioni da eseguire.
PENSATO PER LA SMART FACTORY
“Tutte funzioni”, spiega Fabio Puglia, fondatore e presidente di Oversonic, “pensate non per sorprendere, ma per fare di RoBee un robot umanoide e cognitivo in grado di affiancare l’uomo in compiti complessi, usuranti e ripetitivi. Nella nostra visione può essere impiegato in vari ambiti, in particolare nelle “smart factories” dove già management e addetti sono abituati a una produzione altamente automatizzata”.
Le capacità cognitive sono centrali quanto quelle fisiche in questo progetto. Puglia racconta un aneddoto, a suo parere significativo del ruolo che un umanoide di questo tipo può giocare in uno scenario di lavoro o produttivo. “Durante lo sviluppo”, racconta, “abbiamo piazzato un esemplare di RoBee nella nostra reception, con il compito di accogliere i corrieri, anche per assicurare l’adeguato distanziamento sociale in tempi di pandemia. Dopo un primo momento di sorpresa, abbiamo visto che gli addetti alle consegne interagivano subito in modo naturale con lui, parlandogli e alla fine perfino ringraziandolo dell’aiuto fornito”.
MACCHINA SOCIALE EVOLUTIVA
Che cosa significa tutto questo? Secondo Puglia “che, declinata in un robot umanoide, la tecnologia acquisisce maggiore autorevolezza, si qualifica istantaneamente come un agente importante con cui collaborare per raggiungere un fine. Un aspetto fondamentale in un mondo in cui tendiamo invece a subire la tecnologia, a restarne ingabbiati, come avviene su linee automatizzate dove l’uomo deve seguire i tempi e le sequenze operative dettati dalle macchine”.
E qui arriviamo all’obiettivo ultimo di Oversonic, e cioè, dice il fondatore, “creare una tecnologia in continua evoluzione e a misura d’uomo, in grado di capire le necessità e i tempi del suo interlocutore umano”.
RoBee, quindi, oltre a essere un “voicebot”, capace cioè di interloquire in linguaggio naturale, oltre a saper afferrare oggetti e muoversi autonomamente in un ambiente, è anche una macchina sociale evolutiva, in grado di imparare dall’ambiente che lo circonda e di trasferire le conoscenze che acquisisce nel lavoro a cui è destinato.
TECNOLOGIA E DESIGN ITALIANI
Oversonic è arrivato a questo risultato in tempi molto brevi, pur se attingendo ovviamente alle esperienze sviluppate in campo scientifico. “La ricerca italiana ci ha fatto da guida”, dice Puglia, “tanto che abbiamo attivato collaborazioni con varie università italiane. E anche il design è di casa nostra, perché RoBee vuole proporsi sul mercato come un prodotto italiano nato da tecnologie italiane”. Il lancio sul mercato è previsto proprio quest’anno.
Rossana, il robot umanoide bibliotecario sviluppato dal CRS4, Centro di ricerca del Parco scientifico e tecnologico della Sardegna, in collaborazione con Athlos, azienda sarda specializzata in intelligenza artificiale e interazione uomo-macchina.
ROSSANA LA BIBLIOTECARIA
Se RoBee aiuterà gli operai di uno stabilimento Rossana darà invece supporto ai frequentatori delle biblioteche, per confermare loro la disponibilità di un libro e condurli direttamente allo scaffale da cui prelevarlo. È stato battezzato così, infatti, il robot di aspetto umanoide sviluppato dal CRS4, Centro di ricerca del Parco scientifico e tecnologico della Sardegna, in collaborazione con Athlos, azienda sarda specializzata in intelligenza artificiale e interazione uomo-macchina. Rossana, chiamata così perché impiega ROS, il sistema operativo robotico open source, è il risultato finale del progetto denominato Robotika, finanziato da Sardegna Ricerche con un importo di circa 300 mila euro, che prevedeva lo sviluppo di un prototipo di robot fisico conversazionale.
I progettisti di Rossana hanno optato per un aspetto umanoide, con un volto che però non intende replicare il nostro. È un robot “conversazionale”, capace di capire le richieste del suo interlocutore e di rispondere.
PROGETTO SARDO
Giacomo Cao, amministratore unico del CRS4 precisa: “Il CRS4 ha messo a punto il robot utilizzando i laboratori di prototipazione rapida di Sardegna Ricerche per la stampa delle sue componenti. Rossana al momento comprende le domande che le vengono poste e fornisce risposte con l’ausilio dell’intelligenza artificiale sviluppata da Athlos. Inoltre, è in grado di muoversi autonomamente per accompagnare i visitatori presso gli scaffali in cui risulta posizionato il libro richiesto, ma soprattutto riesce a percepire l’ambiente circostante, evitando ad esempio potenziali ostacoli, grazie al software sviluppato e brevettato dai nostri tecnologi”.
Alessandro Frulio, responsabile tecnico scientifico di Athlos sottolinea: “In questo progetto l’azienda ha implementato un sistema conversazionale evoluto interamente realizzato per il robot, che gli fornisce un ‘cervello’ in grado di capire, parlare, ricordare e imparare. Inoltre, grazie ad una memoria esperienziale basata sul riconoscimento visivo degli interlocutori può gestire conversazioni personalizzate”.
Il robot infermiere Grace in compagnia di Ben Goertzel, CEO e capo ricercatore di SingularityNET, la società olandese che ha contribuito allo sviluppo della sua intelligenza artificiale.
GRACE, INFERMIERA EMPATICA
I robot umanoidi, della cui utilità operativa un tempo si dubitava soprattutto per la difficoltà nel progettarli, ora sembrano quindi diventati indispensabili soprattutto per la loro capacità empatica. Noi umani siamo più portati a comportarci in modo naturale quando ci troviamo davanti qualcosa che ci ricorda noi stessi. Un’ulteriore riprova di questo trend arriva dalla collaborazione tra un’azienda olandese, SingularityNET, che ha sviluppato una piattaforma decentralizzata di intelligenza artificiale, e la celeberrima Hanson Robotics di Hong Kong, la prima azienda al mondo a creare umanoidi commerciali profondamente simili agli esseri umani. L’esempio più noto di questa creatività è Sophia, robot usato estensivamente per la ricerca. Ora però il nuovo umanoide in arrivo si chiama Grace ed è un’infermiera che, spiega Janet Adams, CEO di SingularityNET, “combina la precisione della robotica avanzata nel raccogliere e processare dati in tempo reale con l’empatia e la compassione esclusivamente tipica dell’umanità”.
Grace è stata progettata dal sodalizio olandese e di Hong Kong per parlare fluentemente in inglese e in coreano ma soprattutto, dice Adams, “per imitare a specchio le espressioni facciali dei suoi interlocutori con lo scopo di creare un rapporto davvero empatico. È stata pensata come un robot compagno di pazienti anziani nelle strutture di cura, con la funzione principale di porre un sollievo al senso di solitudine e di migliorare la salute mentale interagendo con le persone e fornendo una varietà di attività utili, come terapie della conversazione e meditazione guidata. Grace può per esempio ascoltare le storie di vita dei suoi assistiti anziani, registrarle e raccontarle ad altri o aiutare i pazienti a contattare le loro famiglie”. Al di là della capacità di interloquire il robot è anche in grado di monitorare parametri vitali di base dei pazienti, come la temperatura, il polso e la pressione, e inviarli a medici e infermieri.
Lo sviluppo di questo robot, tra l’altro, è stato deciso anche pensando alla situazione di Paesi come l’Italia dove, secondo i dati Eurostat del 2018, vive la più elevata percentuale al mondo di cittadini oltre i 65 anni, ben il 35,2% dell’intera popolazione contro una media europea del 30,5%. Un italiano su cinque è over 65 e il 5,3% della popolazione ha più di 80 anni. Nel 2028, secondo le stime della federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), l’Italia avrà 7 milioni di pazienti che soffrono di ipertensione, 6 con artrosi o artrite, 2,6 milioni colpiti da osteoporosi e altri 2 milioni di diabetici. “In questo scenario”, conclude Janet Adams, “un robot come Grace, anche se non sostituirà il calore della famiglia o le capacità dei professionisti della sanità, potrà contribuire in modo estensivo al benessere psicofisico dei pazienti. Non parliamo ancora di un robot completamente autonomo, ma comunque capace di interagire in modo efficace anche in situazioni per cui non è stata preparata in precedenza e, quindi, di rispondere a una serie di scenari esattamente come faremmo noi”. ©WE ROBOTS
Grace in compagnia di altri suoi “colleghi” umanoidi nei laboratori di Hanson Robotics, a Hong Kong, dove è stata messa a punto la sua struttura.