Secondo alcuni esperti oggi strumenti come robot e intelligenza artificiale si sviluppano in modo così rapido da superare le capacità dell’uomo di adattarsi, ponendo le basi per una diffusa disoccupazione.
Lo sviluppo troppo veloce della tecnologia avrebbe dovuto generare una crisi dei posti di lavoro: uno studio dimostra oggi come le professioni che sarebbero dovute scomparire a causa di robot e algoritmi sono in realtà più richieste che mai.
di Riccardo Oldani
Una decina di anni fa un’ondata di studi socioeconomici aveva avvertito che lo sviluppo troppo veloce di tecnologie informatiche e intelligenza artificiale avrebbe generato in breve tempo una profonda crisi del lavoro. Oggi la disoccupazione record preconizzata all’epoca non si è vista e probabilmente non ci sarà mai. Nei Paesi a maggiore automazione, infatti, i posti di lavoro continuano a crescere. E uno studio condotto negli Stati Uniti dimostra come le professioni che sarebbero dovute scomparire a causa di robot e algoritmi sono in realtà più richieste che mai.
Dicevano che robot e intelligenza artificiale avrebbero fatto sparire gran parte dei lavori ripetitivi. Che non soltanto gli operai, ma anche camerieri, impiegati e perfino avvocati e giornalisti sarebbero scomparsi come professioni o che, nella migliore delle ipotesi, si sarebbero drasticamente ridotti. Ma le previsioni, soprattutto quelle che riguardano questioni socioeconomiche e gli sviluppi della tecnologia, molto spesso si rivelano errate o, quanto meno, imprecise. E quindi oggi ci troviamo in una situazione in cui c’è sempre più lavoro e le aziende di ogni tipo fanno addirittura fatica a trovare personale. Un fenomeno registrato soprattutto nei Paesi a più elevata automazione e, va detto, anche in Italia. Nel nostro Paese è stato registrato, nell’ottobre 2022, il più alto tasso di occupazione (60,5%) dal 1977, primo anno in cui l’Istat ha cominciato la sua serie storica. Molti mestieri che solo un decennio fa venivano dati per defunti rivelano in realtà una forte carenza di addetti: professionisti come commessi dei negozi, cuochi, camerieri, panettieri, operai specializzati sono diventati tutti merce rara.
Alcuni studi usciti tra il 2011 e il 2015 indicavano il rischio che circa il 50% delle professioni si potesse perdere a causa dell’evoluzione tecnologica. Tra i settori più colpiti la logistica, i trasporti, il retail.
TECNOLOGIA E OCCUPAZIONE
Come mai? Lo scorso ottobre il tema è stato affrontato da un opinionista del New York Times, Farhad Manjoo, in un articolo intitolato “In the Battle With Robots, Human Workers are Winning” (Nella battaglia con i robot, i lavoratori umani stanno vincendo). “Molti lettori spesso mi chiedono”, scrive il columnist statunitense, “come mai abbiano ancora un posto di lavoro”, facendo riferimento a una serie di studi che avevano cominciato a comparire intorno al 2011, con prospettive fosche sull’impatto di una tecnologia in evoluzione tumultuosa e troppo veloce per le capacità di adattamento dell’uomo.
Una di queste ricerche, condotta da una coppia di studiosi del MIT di Boston, Erik Brynjolfsson ed Andrew McAfee, aveva preso la forma di un libro presto divenuto un “cult” tra i profeti dell’apocalisse: “Race Against the Machine”. Come spesso avviene in questi casi le loro idee sono state interpretate con una certa libertà. L’idea di base dei due è che certe tecnologie, come l’intelligenza artificiale per esempio, interferiscono sul mercato del lavoro, contribuendo contemporaneamente ad aumentare la produttività e a ridurre il valore del lavoro delle persone. Crescono quindi i profitti per manager e capitani di azienda, ma non quelli dei lavoratori, introducendo così una sperequazione: il maggiore valore aggiunto introdotto dalle tecnologie va a vantaggio delle imprese e non delle persone.
Il trend in effetti è sotto gli occhi di tutti e richiede senz’altro interventi, ma è ben diverso rispetto al sostenere che gran parte delle professioni scompariranno e che la popolazione umana è condannata a una disoccupazione di lunga durata, come hanno fatto poi in tanti che si sono appropriati delle idee di Brynjolfsson e McAfee.
INFLUSSI (NEGATIVI) SULL’ITALIA
Alcuni studi successivi, come quello uscito nel 2013 di Carl Benedikt Frey e di Michael A. Osborne, ricercatori dell’Università di Oxford, indicavano per esempio come in un “futuro a breve termine”, collocato entro uno o due decenni al massimo, il 47% di tutti i posti di lavoro negli Stati Uniti sarebbe stato ad alto rischio di estinzione. In particolare, i settori considerati più vulnerabili erano quelli della logistica e dei trasporti, insieme a quelli ad alta manualità, messi in discussione dalla diffusione dei robot di servizio. Sull’onda di questi studi, e di molti altri usciti in quegli anni, anche in Italia si è sviluppato un pensiero simile.
Ancora nel 2017, il sociologo Domenico De Masi, in un’intervista, affermava: “Per uno che progetta una macchina, ci sono migliaia di persone che non lavorano. Pensiamo a quanti cassieri di banca sono scomparsi con l’arrivo del bancomat. Quante persone ci saranno volute a progettare un bancomat? Meno delle migliaia di cassieri che hanno perso il lavoro. L’automazione e l’intelligenza artificiale sostituiscono il lavoro umano. I lavori più a rischio sono le attività ripetitive, ma ormai anche medici e giornalisti vengono sostituiti”.
Il pensiero di De Masi era lo specchio di una corrente di opinione e politica che ha alimentato, tra l’altro, l’idea di formule di assistenza sociale come il reddito di cittadinanza, pensato come un compenso accordato dalla comunità ai disoccupati in cambio delle prestazioni che avrebbero potuto fornire a titolo gratuito alla collettività.
Nel 2016 alcuni studi indicarono il rischio che mestieri come quello del radiologo potessero scomparire in breve tempo a causa dell’utilizzo di tecniche di intelligenza artificiale come il deep learning. I dati reali indicano che non è così.
NULLA (PER ORA) SI È AVVERATO
Al di là delle valutazioni soggettive sul merito di soluzioni di questo tipo, va osservato che, al momento, niente di quanto previsto da queste ricerche si è avverato. Anzi, si sta verificando un fenomeno di tipo contrario, e cioè la sempre maggiore carenza di quelle figure professionali che, invece, un decennio fa erano ritenute in via di estinzione: dagli operai ai medici, dagli autotrasportatori ai commessi. Sensazioni forse? Impressioni legate a una situazione contingente e non corroborate dai numeri? Non proprio.
Un recente studio condotto da Michael Handel, sociologo dell’Ufficio di Statistiche del Lavoro degli Stati Uniti, ha preso in esame una lunga serie di dati, estesi su decenni, riguardanti una trentina di professioni considerate a più elevato rischio tecnologico. Tra queste, consulenti, traduttori, avvocati, medici, lavoratori nei fast-food, commessi, camionisti, giornalisti e programmatori di software. Ebbene, i numeri raccolti evidenziano come ci siano poche evidenze a sostegno dell’idea di una “generale accelerazione della perdita di posti di lavoro o di una rottura strutturale” determinata dalla diffusione di automazione e intelligenza artificiale.
A parte alcune categorie, come i programmatori di computer, i giornalisti o i chirurghi, non solo non si è verificato alcun calo di occupazione in questi settori nell’arco di tempo compreso tra il 1999 e il 2019, ma anzi si prevede un’ulteriore loro crescita nel decennio successivo, fino almeno al 2029. L’analisi di Handel riguarda solo il mercato del lavoro degli USA, ma considera sia l’effetto dell’introduzione dell’intelligenza artificiale nello scenario lavorativo, grosso modo dal 2009 in avanti, sia il peso di altre tecnologie precedenti, in particolare quelle informatiche.
L’ESEMPIO DEI RADIOLOGI
Un esempio emblematico è quello dei radiologi, il cui lavoro, strettamente connesso allo sviluppo tecnologico e a quello dei sistemi di machine learning in particolare, da tempo è considerato a rischio dagli esperti del settore. Nel 2016, per esempio, un articolo pubblicato su “The Journal of the American College of Radiology” segnalava che l’intelligenza artificiale avrebbe potuto porre fine alla radiologia come specialità medica a sé stante. In quello stesso anno, uno specialista del settore, Geoffrey Hinton, ammoniva che “si dovrebbe fermare ora il processo di formazione dei radiologi, perché è assolutamente ovvio che nel giro di cinque anni il deep learning si dimostrerà migliore di loro nelle diagnosi”. Non solo tutto ciò non si è realizzato, ma la richiesta di radiologi sul mercato USA del lavoro è cresciuta del 15% negli ultimi due decenni.
Secondo alcune analisi la tecnologia avrebbe dovuto fare progressivamente sparire lavori come quelli dei cassieri, commessi e addetti del settore retail. I dati raccolti negli Usa dimostrano invece un trend contrario.
UNO SVILUPPO NON PREVISTO
Nel suo lavoro Handel ha preso in esame 27 professioni considerate particolarmente vulnerabili per effetto dell’evoluzione tecnologica. Ebbene, le contrazioni previste in tutte queste occupazioni non si sono verificate, anche a dispetto di un invecchiamento medio della popolazione (fenomeno presente anche negli Stati Uniti e non solo in Italia) che ha rallentato la crescita del numero di persone in età lavorativa.
Insomma, gli esperti che avevano previsto gravi ripercussioni sul lavoro causate dallo sviluppo tecnologico accelerato non hanno fatto bene i loro conti, probabilmente perché hanno immaginato per robot, intelligenza artificiale e machine learning capacità che non sono mai state raggiunte finora e che, a sentire gli esperti che effettivamente lavorano al loro sviluppo, difficilmente saranno implementate in futuro. Un limite delle loro previsioni è, insomma, che hanno ipotizzato uno sviluppo delle tecnologie diverso da quello che poi si è effettivamente realizzato.
Oggi robot e algoritmi non sono quei mostri distopici pensati per rubarci il lavoro, ma operano collaborando e supportando l’uomo. E ci avvertono anche su un fatto metodologico: tracciare scenari senza conoscere realmente le potenzialità delle tecnologie, ma basandosi sugli slogan del marketing, può essere altamente fuorviante e trascinare le analisi socioeconomiche dalla sfera della ricerca a quella della propaganda.
LA TECNOLOGIA NON UCCIDE IL LAVORO
La tabella che pubblichiamo in queste pagine riassume alcuni dati raccolti dal Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti estesa su un trentennio, dal 1999 al 2029. Confrontano sia i dati di occupazione effettivamente misurati nel periodo tra il 1999 e il 2019, sia le proiezioni effettuate dall’ufficio, che si estendono fino al 2029 (nella tabella i dati relativi a queste previsioni sono contrassegnate con una “p”). L’analisi si è concentrata sulle professioni ritenute più a rischio per effetto dell’evoluzione dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie, secondo una serie di studi usciti nei primi anni 2010. Numeri alla mano si nota come per la maggior parte di questi mestieri si sia registrato un forte aumento della richiesta. Dai 10,5 milioni di posti di lavoro occupati in questi ambiti nel 1999 si passa agli oltre 15 milioni di posti di lavoro nel 2019 e ai quasi 16 milioni previsti nel 2029. In generale, in tutti gli Stati Uniti si passerà da un totale di persone occupate nel 1999 di oltre 118 milioni ai 168 milioni di occupati del 2029. ©WE ROBOTS
Dati in migliaia di posti di lavoro. OEWS: statistiche occupazionali sull’impiego e i salari. p: proiezione. Fonte: Growth trends for selected occupations considered at risk from automation, US Bureau of Labor Statistics, Monthly Labor Review, luglio 2022.