Foto 1 - Stampante SLA Form 2, prodotta da Formlabs (fonte: https://formlabs.com/).
Nei decenni trascorsi dall’introduzione dei primi esemplari di macchinari per l’Additive Manufacturing sono migliorati i processi di trasformazione dei materiali, la movimentazione interna dei componenti e la qualità finale dei prodotti.
di Stefano Vinto
I sistemi di stampa 3D stanno guadagnando ovunque terreno e vedono ampliarsi di continuo il ventaglio dei loro possibili settori di applicazione e destinazione. Il mercato propone modelli adatti a budget e industrie svariate, e a trarne vantaggio non sono più solamente i lavori di prototipazione. La stampa additiva negli ultimi anni ha fatto passi da gigante nel mondo delle imprese, tanto che oggi, secondo un recente studio realizzato da Dimensional Research, è presente nell’81% di esse. A spingere sempre più organizzazioni in questa direzione è la necessità di accelerare la prototipazione e lo sviluppo di un determinato prodotto. Passaggi più che mai strategici in un mercato dove chi arriva primo è destinato a vincere sulla concorrenza.
Così, nel corso del 2018, il mercato globale additivo – hardware, software, materiali e servizi – ha raggiuto un valore di 9,3 miliardi di dollari, con una percentuale di crescita del 18%. E le previsioni per quest’anno e per quelli futuri sono altrettanto rosee, se è vero, come riporta SmartTech Publishing, che entro il 2027 il comparto supererà i 41 miliardi di dollari. Aspettative più che mai veritiere visto che i settori produttivi nei quali viene utilizzata la stampa additiva sono sempre più numerosi, anche se la parte del leone la fanno quello spaziale e medicale (93% e 91% rispettivamente), seguiti da quello automotive, elettronico e dei produttori di attrezzature. Del resto, la diffusione della stampa 3D va di pari passo con lo sviluppo dell’industria 4.0 e delle sue esigenze di velocità e precisione.
Foto 2 - Sistema LOM ArkePro, prodotta da Mcor (fonte: https://www.mcortechnologies.com/).
NON SOLO PLASTICA
In fase di ampliamento è anche la gamma di materiali utilizzati. Negli ultimi anni, infatti, il 3D printing ha affiancato ai materiali plastici i metalli, le ceramiche e i composti. Anche se la plastica domina ancora il mercato – viene scelta dall’81% delle aziende – solo un terzo utilizza metalli e ceramiche (rispettivamente il 34% e 32%). Ancora di nicchia, invece, i materiali composti, con solo l’8% delle imprese che ne fa uso. In questo quadro, l’Italia non fa eccezione. L’Osservatorio sulla stampa 3D e sull’Additive Manufacturing realizzato da NetConsulting cube e da Cherry Consulting dice infatti che le aziende italiane, dopo un approccio alla stampa additiva spesso limitato all’attività di progettazione, ora guardano con interesse anche al suo utilizzo in produzione e a supporto delle attività verso i canali distributivi. Una tendenza che ha visto le stampanti 3D non solo entrare nelle fabbriche, ma anche la loro integrazione con altri sistemi di produzione per effettuare lavorazioni specifiche con livelli di sofisticazione e personalizzazione prima impensabili.
Foto 3 - Sistema SLS EOS P770 prodotto da EOS (fonte: https://www.eos.info).
Nonostante lo sviluppo del mercato, la stampa 3D ha ancora qualche criticità, a partire dalla stabilità e dal controllo del processo, che presentano ancora ampi spazi di miglioramento, così come la velocità, i tempi di produzione e il costo totale del singolo pezzo realizzato, che in molti casi è ancora troppo elevato. E non solo per i prezzi di alcuni materiali, ma anche per l’acquisto e funzionamento dei macchinari, e del lavoro per l’attività di post-processing. Limiti che dovranno essere superati nei prossimi anni se si vogliono cogliere pienamente i vantaggi dell’industria 4.0.
Anche per i produttori di componenti come R+W, la manifattura additiva può rappresentare una novità preziosa per la realizzazione di prototipi destinati alla produzione di elementi di compensazione; al momento, il 3D printing non è ancora in contatto con il mondo delle trasmissioni di potenza né con i giunti, ma le prospettive future potrebbero rivelarsi più interessanti.
Foto 4 – Sistema DMLS EOS M400-4 prodotto da EOS (fonte: https://www.eos.info).
UNA TERMINOLOGIA COMUNE
Una prima questione da affrontare, quando si considerano le tecnologie di Additive Manufacturing, riguarda l’impiego di una terminologia univoca per descriverne le caratteristiche fondamentali, specie alla luce delle innovazioni introdotte, in tema di digitalizzazione dei processi, dall’avvento dell’Industria 4.0. Esaminiano, dunque, l’evoluzione degli schemi degli azionamenti per i sistemi di produzione con tecnologie di Additive Manufacturing, evidenziandone le caratteristiche comuni.
I primi tentativi di realizzazione di oggetti solidi tramite l’impiego dei fotopolimeri risalgono alla fine degli anni ’60 e furono condotti presso il Battelle Memorial Institute, a Columbus, nell’Ohio. Tale attività di ricerca iniziale portò a un setup sperimentale in cui due fasci laser, di lunghezza d’onda diversa, si incrociavano in un punto all’interno di un recipiente, riempito da resine fotopolimeriche inventate dalla DuPont, con lo scopo di solidificare una certa quantità di volume.
Foto 5 - Tecnologia SGC, brevetto US4961154 (fonte: https://www.uspto.gov/).
Nella prima metà degli anni 2000, le discussioni sulla terminologia corretta da impiegare hanno individuato due criticità fondamentali: i termini precedenti – Rapid Prototyping, RP, Rapid Manufacturing, RM, e Rapid Tooling, RT – individuano tutti la caratteristica additiva del processo, consistente nella realizzazione di un componente strato dopo strato, in contrasto con la caratteristica sottrattiva dei processi tradizionali realizzati sulle macchine CNC, tramite i quali un componente viene realizzato tramite l’asportazione graduale di materiale nelle modalità ben note. Queste tecnologie permettono la realizzazione di un componente senza ricorrere né a utensili né a stampi, partendo direttamente da un modello 3D del componente stesso, prefigurando non solo la possibilità di realizzazione di forme complesse, non realizzabili tramite le classiche metodologie di lavorazione, ma anche predisponendo la digitalizzazione dei processi di produzione, che è tra le prerogative fondamentali dell’Industria 4.0.
Foto 6 - Sistema FDM Argo 500 prodotto da Roboze (fonte: https://www.roboze.com).
Tali discussioni hanno così portato alla definizione del termine Additive Manufacturing (AM), come definito nella norma ASTM F2792-12a (Standard Terminology for Additive Manufacturing Technologies). Il termine risulta universale e ufficiale, indicando tutte quelle applicazioni che prevedono l’impiego di una tecnologia il cui processo fondamentale è quello di unire uno o più materiali per realizzare degli oggetti, partendo dai dati di un modello 3D e sovrapponendo uno strato dopo l’altro, al contrario delle tecnologie di produzione sottrattive come quelle fornite dalle macchine utensili tradizionali.
Come già accennato, le tecnologie di Additive Manufacturing rendono possibile la creazione di prototipi e di miniserie, caratterizzati da livelli di complessità geometrica e strutturale abbastanza elevati. Ciò sta determinando una profonda mutazione anche nelle attività di Industrial Design, di progettazione e ingegnerizzazione, per cui si parla attualmente di Design for Additive Manufacturing (DfAM).
Foto 7 - Sistema BMD Studio System+, prodotto da Desktop Metal (fonte: https://www.desktopmetal.com/)
BREVETTI E AZIONAMENTI
A conclusione, riportiamo, in estrema sintesi e in ordine cronologico, i brevetti che hanno dato un impulso fondamentale allo sviluppo delle tecnologie di Additive Manufacturing; di ciascuno di essi evidenziamo gli schemi fondamentali degli azionamenti impiegati nei relativi sistemi.
Il primo brevetto (US4575330) fu quello della tecnologia SLA, Stereolithography, presentato l’8 agosto del 1984 da Chuck Hull. Nella foto1 viene mostrata la stampante SLA Form 2, prodotta da Formlabs.
Il secondo brevetto (US4752352) fu quello della tecnologia LOM, Laminated Obiect Modeling, presentato nel 1986 da Michael Feygin. Nella foto 2 viene mostrata la stampante LOM prodotta da Mcor.
Foto 8 - Sistema EBM Arcam Q20plus, prodotto da Arcam EBM (fonte: http://www.arcam.com/).
Il terzo brevetto (US4863538) fu quello della tecnologia SLS, Selective Laser Sintering, presentato nel 1986 da Carl Deckard. Nella foto 3 viene mostrato il sistema SLS EOS P770, prodotto da EOS, che consente la realizzazione di volumi massimi pari a 700 x 380 x 580 mm impiegando anche polveri ibride polimeriche/metalliche come l’Alumide®, miscela di polveri poliammidiche e alluminio.
Una variante di tale tecnologia, denominata DMLS, Direct Metal Laser Sintering, fu sviluppata dalla stessa EOS nel 1995 e impiega polveri esclusivamente metalliche – cromo cobalto, leghe al Ti, acciai legati e acciai da utensili –. Nella foto 4 viene mostrato il sistema DMLS EOS M 400-4, prodotto da EOS, per volumi di produzione fino a 400 x 400 x 400 mm.
Il quarto brevetto (US4961154) fu quello della tecnologia SGC, Solid Ground Curing, presentata nel 1986 da Itzchak Pomerantz, ma rilevatasi da subito estremamente costosa e complessa, per cui fu in seguito abbandonata. La tecnica viene mostrata nella foto 5.
Il quinto brevetto (US5121329) fu quello della tecnologia FDM, Fused Deposition Modeling, presentata nel 1989 da Scott Crump. Nella foto 6 viene mostrato il sistema a tecnologia FDM Argo 500 prodotto da Roboze.
Foto 9 - Tecnologia 3DP, brevetto US5204055 (fonte: https://www.uspto.gov/).
Un’interessante variante alla tecnologia FDM è stata proposta da Desktop Metal, azienda fondata nel 2015 a Cambridge nel Massachusetts. Tale azienda ha presentato una tecnologia proprietaria chiamata BMD, Bound Metal Deposition. Nella foto 7 è mostrato il sistema Studio System+.
Il sesto brevetto (US5786562) fu quello della tecnologia EBM, Electron Beam Melting, presentato nel 1993 da Ralf Larson. Nella foto 8 viene mostrato il sistema a tecnologia EBM Arcam Q20plus, dedicato alla produzione di componenti per il settore aerospaziale, prodotto da Arcam EBM.
Il settimo brevetto (US5204055) fu quello della tecnologia 3DP, 3D Printing, presentato nel 1989 da Michael Cima ed Emanuel Sachs. Tale processo è molto simile a quello della tecnologia SLS e la relativa movimentazione viene schematicamente mostrata nella foto 9.
L’ottavo brevetto (US5506607) fu quello della tecnologia IJP, Ink Jet Printing, presentato nel 1991 da Royden Sanders Jr. La relativa movimentazione viene mostrata nella foto 10.
Il nono brevetto (US6259962) fu quello della tecnologia PolyJet, presentanto nel 1999 da Hanan Gothait. Nella foto 11 viene mostrato il sistema PoliJet a colori Object 260 Connex 3, prodotto da Stratasys.
In ciascuno dei brevetti visti, l’aspetto comune è dato dall’ottenimento di un oggetto tramite la sovrapposizione successiva di strati sottili di materiale. Compito quindi dell’azionamento è quello di garantire la risoluzione costante lungo l’asse Z, al fine di poter determinare la risoluzione finale richiesta. Tale parametro non è l’unico determinante per l’ottenimento della qualità finale: anche la risoluzione lungo gli assi X e Y è un dato fondamentale per la realizzazione dei livelli di dettaglio richiesto e delle strutture di supporto necessarie.
Foto 10 - Tecnologia IJP, brevetto US5506607 (fonte: https://www.uspto.gov/).
IL RUOLO DEL FORNITORE DI COMPONENTI
L’evoluzione degli azionamenti di precisione visti per le macchine per Additive Manufacturing può trovare un valido supporto nei fornitori di componenti. È il caso di R+W, azienda leader nella produzione di giunti e alberi di trasmissione, in grado di mettere la sua esperienza a disposizione del progettista. Nel settore degli azionamenti di precisione per le macchine per Additive Manufacturing, R+W fornisce una gamma completa di soluzioni per tutte le esigenze di trasmissione e limitazione della coppia, quali: giunti a soffietto metallico della serie BK, giunti a elastomero della serie EK e limitatori di coppia serie SK.
Foto 11 - Sistema PoliJet a colori Object 260 Connex 3 prodotto da Stratasys (fonte: http://www.arcam.com/).
I giunti BK a soffietto metallico, precisi e senza gioco, sono molto apprezzati per il basso momento di inerzia, la totale assenza di necessità di manutenzione, la durata praticamente infinita e soprattutto la totale affidabilità. I giunti a elastomero della serie EK combinano elevata flessibilità e buona resistenza. Smorzano vibrazioni e impatti, compensando i disallineamenti degli alberi. Molti elementi condizionano la progettazione dei giunti a elastomero: da fattori quali il carico, l’avviamento e la temperatura dipende la durata dell’inserto. L’elemento elastomerico è disponibile in diverse durezze Shore, per trovare sempre un compromesso adatto fa le proprietà di smorzamento, la rigidità torsionale e la correzione dei disallineamenti per la maggior parte delle applicazioni.
I limitatori di coppia SK, assolutamente privi di gioco, permettono di proteggere il sistema motore in caso di sovraccarico, scollegandolo dalla parte condotta nel giro di pochi millisecondi. Estremamente precisi, trasmettono la coppia con gande accuratezza e intervengono solo in caso di effettiva necessità. Inoltre, consentono un riarmo semplice e rapido non appena viene rimossa la causa del sovraccarico.
Per una consulenza personalizzata è possibile contattare R+W telefonicamente allo 0226264163, via mail info@rw-italia.it, tramite webchat disponibile sul sito www.rw-giunti.it o tramite i canali social dell’azienda: è anche possibile far conto su #progettiSicuri con R+W! ©TECNeLaB
L’evoluzione degli azionamenti di precisione visti per le macchine per Additive Manufacturing può trovare un valido supporto nei fornitori di componenti come R+W. Nella foto i giunti a elastomero della serie EK.