Dalla sua invenzione nei tardi anni ’90 dello scorso secolo, il concetto di Ecological Footprint (EF) è stato ampiamente utilizzato ed evocato, almeno quanto criticato. Oggi tale concetto è passato un po’ in secondo piano, in quanto il fattore decisivo è ormai dato dalle emissioni di anidride carbonica.
In effetti, basandosi su una conversione abbastanza grezza tra risorse consumate e superficie di terra necessaria a produrle, l’EF fornisce solo un’indicazione molto approssimativa dell’impatto di una Nazione, di una Regione o di una città.
Nonostante ciò, il suo potenziale di diagnosi e di guida per lo sviluppo di rimedi è molto più forte delle tonnellate di anidride carbonica, anche perché traduce in indici numerici ciò che i governanti delle città-stato sapevano perfettamente: per tenere in vita la città queste dovevano controllare il territorio circostante (il contado) o trovare altri modi per approvvigionarsi (via mare, per esempio, come Genova).
Per far vivere una città ci vuole infatti molto altro rispetto al grano siciliano: energia, acqua, prodotti agricoli, materie prime, combustibili, semilavorati, prodotti finiti, per citarne alcuni. Una parte consistente di tutte queste risorse ha un ciclo di vita abbastanza breve e finisce come rifiuto, o almeno lo era, dato che il riciclo e il recupero fanno ormai parte della nostra quotidianità.
La fase successiva, ossia la circolarità dell’economia, comporta invece un salto qualitativo che ha implicazioni molto interessanti per le città. L’economia circolare, infatti, può andare a favore dell’economia cittadina in due modi, esaminati e illustrati con esperienze concrete nel corso delle sessioni dedicate della Genova Smart Week, andata in scena lo scorso 25 novembre.
Da una parte, il ciclo dei rifiuti muove una grande quantità di risorse sul piano locale, in primo luogo attraverso la TARI, che viene assorbita dalle Amministrazioni, ma anche mediante il cosiddetto contributo ambientale, derivante dalla responsabilità estesa del produttore dei beni, che va a finanziare la filiera del riciclo.
Secondo i calcoli del Laboratorio REF, si tratta di una cifra che supera gli 11 miliardi di euro. Dal momento che la “materia prima” – ossia i rifiuti – viene prodotta in locale, intercettare almeno parte di queste risorse (anche con la riallocazione di parte della TARI a fini di economia circolare) a favore dell’economia produttiva locale, con l’incoraggiamento dello stabilirsi di aziende di filiera, garantirebbe attività e posti di lavoro qualificati.
Il secondo modo è invece più strategico: per non ridursi a mera gestione dei rifiuti, l’economia circolare deve basarsi sull’utilizzo delle “materie seconde”, in uscita dal ciclo della differenziata al fine di produrre sia dei beni sia l’energia. Le imprese utilizzatrici possono essere la base su cui costruire la reindustrializzazione delle città a filiera corta e circolare, ma non chiusa, in quanto nulla impedisce alle città di esportare i propri prodotti circolarizzati, che verranno poi ricircolarizzati in altre città.
Questa visione, all’apparenza utopistica, muove invece la strategia di Confindustria-CIS Ambiente, il cui Vicepresidente Vicario, Alessandro Della Valle, intervenuto nella conferenza, ha trovato l’assenso del Direttore Generale di AMIU – la municipalizzata di Genova dedicata al ciclo dei rifiuti –, impegnata in un percorso di investimenti che comporta l’estensione della raccolta differenziata e, soprattutto, la creazione di impianti di trattamento della FORSU, nonché la collaborazione con le aziende private esistenti sul territorio genovese specializzate nel ciclo dei rifiuti.
Tutte le informazioni sulla Genova Smart Week sono disponibili sul sito.