Costante e continua è l’evoluzione dei robot collaborativi, “sotto test” in questo nostro servizio per capirne le tendenze.
Abbiamo cercato, con alcuni esperti del settore, di delineare, secondo i diversi punti di vista, una panoramica dell’evoluzione dei robot collaborativi o cobot, progettati per coadiuvare efficacemente le persone che operano sulle linee di produzione. Sono emersi nuovi elementi da considerare nei processi di interazione fisica delle macchine con l’essere umano e le soluzioni tecnologiche ideate anche in ottica di sicurezza. Dagli elementi normativi alle modalità progettuali, si apre, con questi interventi, un dibattito interessante per chi affronta le tematiche di questo comparto a partire da una considerazione condivisa, ovvero l’operatore umano è al centro della produzione.
di Luigi Ortese
AL SERVIZIO DELL’UOMO
La ricerca sulle interazioni tra uomo e robot è un filone particolarmente vivo e ricco di studi che stanno andando sempre più nella direzione di ricadute realistiche e attuabili. Lo dimostra, per esempio, il numero in grande crescita delle pubblicazioni scientifiche che riguardano questo tema, individuabili con strumenti di ricerca come Google Scholar. L’inizio della robotica collaborativa si può far risalire intorno al 2006, con l’introduzione del braccio robotico di Universal Robots e con il lavoro di DLR, l’agenzia spaziale tedesca, che ha introdotto il primo braccio robotico leggero impiegato nel robot umanoide Justin e divenuto oggi un prodotto, il robot LBR iiwa, per iniziativa di KUKA.
Importanti nello sviluppo della teoria connessa alla collaborazione tra uomo e robot sono stati gli studi condotti dal professor Alessandro De Luca dell’Università di Roma “La Sapienza”, che ha ideato un metodo per riconoscere e prevedere le collisioni tra uomo e robot basato interamente sul modello matematico, senza necessità di sensori addizionali, oppure il metodo messo a punto all’Università di Stanford da Oussama Khatib per calcolare un percorso da seguire in un ambiente non strutturato individuando gli ostacoli.
Al Politecnico di Milano sono stati condotti approfonditi studi sul cosiddetto “danger field”, il campo che ogni robot si porta dietro di sé all’interno del quale può essere pericoloso: è stato così messo a punto uno specifico algoritmo che consente di calcolare questo campo e definire i comportamenti conseguenti della macchina. In generale la Commissione Europea è fortemente interessata al tema e ha finanziato progetti come Phriends, Rosetta, Saphari, FourByThree, orientati allo sviluppo di robot industriali collaborativi.
Alla luce di tutto questo sforzo di ricerca, che anche il Politecnico di Milano conduce attraverso quattro laboratori del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (AirLab, CartCas Lab, NearLab e Merlin), oltre ai laboratori di altri Dipartimenti (in particolare di Meccanica e Ingegneria Gestionale), possiamo dire che oggi la robotica collaborativa è giunta a un buon punto di avanzamento, ma che ancora abbiamo importanti sfide davanti a noi.
In particolare, penso al tema della sicurezza e alla necessità di nuovi sensori e di nuove metodologie di valutazione del rischio nella progettazione di soluzioni collaborative. È importante che i robot arrivino a percepire il movimento umano e a riconoscere le intenzioni delle persone con cui lavorano e, in questo, un ruolo importante potrà essere giocato dall’intelligenza artificiale, dal machine learning, da algoritmi di anticipazione e di predizione e da nuove tecniche per gestire la quantità di dati prodotti.
Un altro aspetto sarà rendere i robot davvero collaborativi, perché oggi lo sono solo in misura limitata: gli automi dovranno essere in grado in futuro di adattarsi a sempre più a mutevoli condizioni operative, a differenti performance da parte dell’uomo, dovranno essere più socievoli ed ergonomici. Un’importante direzione di sviluppo sarà anche quella che avrà al centro il benessere fisico delle persone, per arrivare a robot collaborativi capaci di alleviare la fatica e di abbattere i costi connessi alla salute dei lavoratori. (Paolo Rocco)
Paolo Rocco, Professore ordinario, Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano.
MIGLIORAMENTO CONTINUO
La robotica collaborativa rappresenta un complemento alla robotica tradizionale in tutte quei casi dove l’uso di una soluzione “classica” di automazione risulti troppo complessa e o costosa. L’obiettivo principale delle aziende che adottano robot collaborativi è sgravare gli operatori da compiti pesanti e ripetitivi. In questa accezione di collaboratività, non sempre l’operatore esegue azioni continuative fianco a fianco al robot, ma più spesso è chiamato a verificare o migliorare il processo o a gestire le eventuali eccezioni. La robotica collaborativa necessita, quindi, di personale in grado di intervenire durante la produzione per effettuare tutte quelle operazioni di ottimizzazioni e tuning dell’impianto e in grado di riprogrammare in maniera semplice e rapida il task del robot per seguire le esigenze di produzione flessibile. Questo comporta in prima battuta la necessità di riqualificare gli addetti aziendali con formazione specifica sulle nuove modalità di lavoro. In un contesto più ampio, dove appunto la tecnologia introduce rapidamente nuove modalità operative, occorre anche avere istituti di formazione preparati a far crescere i lavoratori di domani, in cui l’automazione e la robotica siano un caposaldo del loro percorso formativo.
ABB si sta muovendo in direzione di ampliare la gamma dei robot collaborativi puntando sia sulla famiglia Yumi, a due braccia o a braccio singolo, sia sulla taglia di robot con portate più alte, sfruttando la meccanica del braccio robot tradizionale e un controllo potenziato con la funzionalità “Safe move” per renderlo collaborativo. Oltre all’ampliamento di gamma, ABB ha sviluppato una serie di strumenti indispensabili per semplificare la programmazione (ad esempio la funzione di lead through, che permette di spostare manualmente il robot e così autoapprendere i movimenti del robot) o per permettere al robot stesso di interagire meglio con l’ambiente esterno (ad esempio il sistema di visione integrato, che consente di adattare le traiettorie in funzione della posizione dei componenti da manipolare). Completano il quadro, il tutto in ottica Industria 4.0, la connettività dei robot alla rete aziendale per il loro controllo tramite tablet o smartphone, la raccolta dati e la successiva elaborazione per l’ottimizzazione del processo. (Oscar Ferrato)
Oscar Ferrato, Collaborative Robots Product Manager Italy di ABB
UOMINI E ROBOT INSIEME
L’interesse verso i robot collaborativi è in costante aumento. Grazie a questa tipologia di robot l’automazione industriale diventa alla portata di un numero sempre maggiore di aziende, in grado di introdurre gradualmente una nuova tecnologia a supporto dei processi produttivi. La possibilità di affiancare i robot all’operatore, senza nessuna barriera, consente di generare benefici significativi in termini di ergonomia, riduzione dei lavori più usuranti, sicurezza e benessere degli operatori.
Le applicazioni dei robot collaborativi sono molteplici e spaziano dagli assemblaggi di componenti, anche pesanti, al carico e scarico di macchine utensili o presse di stampaggio, alla dosatura o avvitatura di materiali su prodotti semilavorati e tante altre ancora. Non c’è in effetti un limite ai possibili utilizzi dei robot collaborativi, che possono supportare il lavoro dell’uomo nelle applicazioni più disparate. Ad oggi un limite è forse dato dai pesi supportabili dai bracci robotici e dalle velocità di movimento consentite dalle normative, un limite che Comau vuole superare tramite la nuova tecnologia AURA.
Sui robot collaborativi Comau ha fatto una scelta strategica, quella di posizionarsi su una taglia di robot collaborativo non presente sul mercato, vale a dire in grado di movimentare pesi molto elevati, fino a 170 kg. Una sfida non da poco, vinta grazie al continuo impegno dell’azienda nelle attività di innovazione, ricerca e sviluppo. La tecnologia AURA, Advanced Use Robotic Arm, combina infatti diverse funzionalità, garantendo la sicurezza degli operatori e il pieno raggiungimento delle performance produttive, grazie a sensori, capacitivi e resistivi, integrati in una speciale “pelle protettiva”, e ad altre dotazioni di sicurezza come laser scanner, che consentono l’uso di AURA per le più svariate applicazioni: assemblaggi, inserimento di oggetti pesanti come batterie o sedili all’interno di autovetture, lucidatura di telai, movimentazione di bobine o scatole. Il primo modello di robot di questa famiglia, AURA-170-2.8, è stato già acquisito da un importante cliente all’interno di un’integrazione 100% “made in Comau”, dove robot tradizionali, collaborativi e altri prodotti di automazione interagiscono tra loro e con gli operatori. (Massimo Calvetto)
Massimo Calvetto, Comau Sales Manager General Industry Italia.
UN NUOVO MODO DI PRODURRE
L’introduzione della robotica collaborativa nell’ambito industriale rappresenterà effettivamente una rivoluzione in termini di approccio a nuove modalità produttive e all’organizzazione del lavoro. Le nuove esigenze dettate dai mercati, caratterizzate da un sempre più elevato livello di personalizzazione e variabilità di piccoli lotti, richiedono automazioni snelle, flessibili, con tempi di ripristino e di setup ridotti al minimo: requisiti pienamente soddisfatti dal connubio uomo/cobot. Questa rivoluzione determinerà la nascita di nuove figure professionali, la crescita strutturale unita allo sviluppo tecnologico e incremento della competitività delle PMI, le quali avranno accesso al nuovo concetto di automazione grazie al rapido “ritorno dell’investimento”, in alcuni casi non giustificabile con la robotica tradizionale.
Prevale quindi la visione di un robot amico: l’integrazione dei cobot nei processi e, quindi, l’interazione diretta uomo-macchina, solleveranno l’operatore da compiti rischiosi, gravosi, ripetitivi e logoranti.
La figura dell’operatore di presidio sarà sempre più legata ad attività per le quali è richiesto realmente un valore aggiunto, che solo l’essere umano può apportare. Senza dimenticare che la semplicità di programmazione, di utilizzo e le sempre più evolute interfacce User Friendly permetteranno anche a personale non altamente specializzato di poter governare e gestire a tutti gli effetti la cella di lavoro.
Il System Integrator – qual è Evolut – gioca un ruolo fondamentale e strategico nell’ambito della Fabbrica Digitale e, nello specifico, delle applicazioni collaborative. La nostra esperienza e la profonda conoscenza delle esigenze produttive delle aziende clienti, ci consente di fornire un valido supporto sin dalla fase preliminare di valutazione delle possibili applicazioni, fino alle successive fasi di integrazione del cobot, valutazione dei rischi, certificazione e assistenza tecnica. Le applicazioni potranno essere, di conseguenza, collaborative e, allo stesso tempo, performanti e affidabili: rappresenteranno, a tutti gli effetti, un valore aggiunto per la catena produttiva e in ambiente completamente Industria 4.0. (Luca Maiolo)
Luca Maiolo, Direttore Commerciale di Evolut.
CRESCITA COSTANTE
La robotica collaborativa sta avendo un significativo sviluppo, forse addirittura al di sopra delle aspettative. Questo sviluppo deve però obbligatoriamente passare per una concezione diversa di produzione. È bene sottolineare, infatti, che per realizzare un’applicazione realmente collaborativa tutto ciò che la comprende deve essere indirizzato alla collaborazione con l’uomo, non soltanto il robot. Il robot collaborativo, comunque, con le sue caratteristiche ha aperto un universo di opportunità prima impensabili, e se si uniscono le caratteristiche collaborative tipiche di questi robot alla fantasia applicativa dei system integrator e degli utilizzatori finali le applicazioni che si possono realizzare sono veramente svariate.
Per quanto riguarda l’occupazione, nelle fabbriche del futuro, pensiamo che non verrà intaccata dall’avvento dei cobot, ma che questi ultimi non possano fare altro che migliorare le condizioni di lavoro esistenti. A dire la verità lo stesso discorso è valido anche per la robotizzazione in generale che mira da sempre a migliorare la qualità del lavoro oltre che ad aumentarne la redditività. Questo concetto deve però passare attraverso un percorso di sviluppo formativo degli operatori, con una formazione adeguata che inizi a livello scolastico e prosegua nelle aziende.
Caratteristica principale dei robot collaborativi FANUC, come di tutti i propri prodotti, sono l’ampiezza della gamma e quindi la scalabilità dei prodotti e la standardizzazione degli stessi. Tutti prodotti FANUC Collaborative possono infatti utilizzare tecnologie software e hardware (tra cui la visione artificiale) integrate, proprie della linea di robot FANUC standard.
In merito alla gamma invece, FANUC è la prima casa a proporre un robot collaborativo da 35 kg di portata pensato per applicazioni di ispezione, handling, finalizzato a sgravare l’uomo da operazioni particolarmente pesanti e pericolose. L’ormai famoso CR-35iA è affiancato poi da altri robot collaborativi dalle portate più limitate, ad esempio il nuovissimo 15 kg e i più consolidati 7 kg e 4 kg, ampliando la proposta di soluzioni che FANUC presenta al mercato. Un mercato che, a nostro avviso, non potrà che crescere nei prossimi anni. (Nicola Giordani)
Nicola Giordani, Sales Executive Robot di FANUC Italia.
IL PERFETTO ASSISTENTE
Nella fabbrica del futuro, che per KUKA è già il presente, i robot collaborativi lavorano fianco a fianco con l’operatore, in piena sicurezza, supportandolo nelle attività più faticose, usuranti e di difficile esecuzione. Una collaborazione capace di esprimersi in postazioni fisse o mobili, dove il robot si può spostare in base alle esigenze produttive del momento. Smart manufacturing e interazione semplice tra l’assistente robot e l’operatore, sempre più efficienti colleghi di lavoro, sono i punti di forza di KUKA: un robot, che collega! è stato anche lo slogan che ha contraddistinto la presenza alla recente fiera Mecspe 2018.
I cobot sono quindi sempre più il perfetto assistente dell’operatore umano, sgravandolo di compiti faticosi o ripetitivi e permettendogli di occuparsi di attività a maggiore valore aggiunto. Il nostro robot collaborativo LBR iiwa rappresenta l’assistente ideale per complesse applicazioni industriali quali assemblaggio, movimentazione, testing, eseguite in totale sicurezza. È quindi possibile trasformare il robot in una terza mano, affidandogli attività non ergonomiche e monotone: le realizzerà in modo affidabile e autonomo. Anche il robot collaborativo mobile KMR iiwa è adatto alla collaborazione tra uomo e robot, combinando in un unico sistema i punti di forza del robot LBR iiwa con una piattaforma mobile e autonoma. È indipendente da qualunque collocazione fissa e altamente flessibile: il presupposto ideale per i requisiti del paradigma di Industria 4.0.
In particolare, LBR iiwa ha tempi di reazione molto rapidi grazie ai sensori di coppia su ogni motore: riconosce subito i contatti riducendo immediatamente la forza e la velocità. Disponibile nelle due versioni con capacità di carico di 7 e 14 kg, è il primo e unico robot leggero con una capacità di carico utile di oltre 10 kg. Con i suoi 7 assi, si basa sul movimento del braccio umano ed è in grado di maneggiare componenti delicati grazie alla regolazione della posizione e della flessibilità. Riconosce i contorni in modo rapido, con forza regolabile, e rileva la corretta posizione di montaggio, montando i componenti rapidamente e con la massima precisione. Grazie all’interfaccia utente semplificata, basata sul graphic programming, la gestione fisica e la programmazione raggiungono una grande semplicità di utilizzo. LBR iiwa è disponibile anche nella versione “teaching by demonstration”, ulteriore conferma delle diverse modalità di programmazione facili e intuitive di KUKA.
L’unità di controllo KUKA Sunrise Cabinet, utilizzabile anche senza conoscenze specifiche di programmazione grazie al codice di programma JAVA, agevola una rapida messa in funzione anche per attività più complesse.
KMR iiwa, infine, è in grado di muoversi all’interno dell’area produttiva, navigando in modo completamente autonomo tra diverse isole di lavoro. Con l’ausilio del metodo SLAM – Simultaneous Localization And Mapping – la piattaforma localizza in tempo reale la sua posizione su una mappa dell’ambiente generata con i dati rilevati dagli scanner laser e dai sensori delle ruote. Proprio come gli umani, KMR iiwa può tenere traccia dei pezzi in movimento, spostarsi liberamente e collegare isole di produzione per formare nuove unità produttive altamente flessibili. Sempre grazie ai laser scanner, la piattaforma mobile monitora l’ambiente circostante e se una persona o un oggetto si trovano sul suo percorso reagisce subito rallentando o fermandosi, per poi riprendere la sua corsa quando l’ostacolo non viene più rilevato. (Inga Akulauskaite)
Inga Akulauskaite, Responsabile Marketing di KUKA Roboter Italia.
EVOLUZIONE DELLA SPECIE
L’approccio innovativo legato alla quarta rivoluzione industriale ha spinto l’intero comparto robotico a interrogarsi sulla necessaria evoluzione del concetto classico di robot, per contestualizzarlo nella fabbrica del futuro. Integrazione su più livelli, condivisione dello spazio di lavoro e semplicità di utilizzo sono certamente i concetti chiave della nuova immagine della robotica che, accoppiate alle tecnologie AI, aprono nuovi scenari applicativi, evidenziando la versatilità del robot.
Un robot collaborativo rappresenta l’espressione innovativa di condivisione dello spazio di lavoro con l’essere umano in totale sicurezza e senza necessità di barriere fisiche. Ma non bisogna cadere nell’errore comune di considerare il robot collaborativo come alternativo al robot industriale standard. Dall’analisi delle peculiarità dei robot collaborativi si evidenzia come le applicazioni preferenziali, quindi gli ambiti che sfruttano appieno le loro potenzialità, sono caratterizzate da un’esigenza di facilità di utilizzo e una necessità di autoapprendimento delle movimentazioni. Tali attributi vanno a discapito delle velocità di esercizio, limitate a causa di una completa assenza di barriere tra robot e ambiente circostante, impattando di fatto sulla produttività a fine linea. È dunque evidente che la robotica collaborativa e la robotica tradizionale non siano in contrasto ma piuttosto complementari.
Per coprire tutte le esigenze, Mitsubishi Electric (www.it.mitsubishielectric.com/it) ha identificato tre diversi approcci alla collaborazione tra robot e uomo. Il primo livello prevede l’utilizzo di funzionalità di Safety avanzate su robot industriali standard MELFA, mediante l’impiego della centralina di sicurezza MELFA Safe Plus. Grazie a tale opzione è possibile creare delle aree collaborative e quindi lavorare occasionalmente a ripari aperti in completa sicurezza, mantenendo di fatto inalterato il livello di produttività della linea. Il secondo livello prevede l’utilizzo su robot standard di una cover sensoriale (Airskin- Safety touch cover) che rende il robot cooperativo, ovvero in grado di lavorare senza barriere e in grado di fermare la movimentazione in sicurezza con un semplice tocco. L’ultimo e più innovativo approccio, è il robot collaborativo MELCOR che consente una completa collaborazione con l’essere umano. (Marco Filippis)
Marco Filippis, Product Manager Robot di Mitsubishi Electric.
L’INNOVATIVO CONCETTO DI COWORKING
La robotica collaborativa prevede l’interazione in spazi di lavoro condivisi tra braccio robotizzato e operatore, garantendo a quest’ultimo quei livelli di sicurezza che le normative oggi richiedono. Naturalmente, la qualifica di “robot collaborativo” non è sufficiente a garantire una tutela effettiva per l’operatore, se anche l’intero ambiente e gli accessori dell’isola non rientrano a loro volta in un concetto di sicurezza per la condivisione delle aree di lavoro.
Il nuovo rapporto o interazione che si va creando tra operatore e braccio robotizzato determinerà non solo in ambito industriale, ma anche in ambito di servizio, degli adeguamenti dal punto di vista mentale, sia per quanto riguarda le abitudini, sia nell’etica del lavoro; cosa che non avveniva con i robot più tradizionali, segregati all’interno di aree di sicurezza. Approccio che potrebbe, in una prospettiva futura, anche richiedere una rivisitazione delle logistiche e dei concetti di linee di produzione, in particolare con i robot di servizio. Tra i principali campi di applicazione dei robot collaborativi rientrano tutte quelle attività quali montaggio, test di controllo della qualità prodotto, manipolazione food e componentistica elettronica e, in generale, operazioni gestite nell’ambito di un’area di lavoro similare a quella gestita da un operatore umano, coprendone la medesima area di lavoro.
Lo sviluppo dei cobot si basa sul fatto di avere dei robot che possano essere utilizzati in modo quasi immediato, senza stravolgere l’ambiente o le linee produttive dove i robot stessi verranno usati; inoltre il costo dell’investimento deve effettivamente garantire un rapido ritorno economico e, soprattutto, una facile possibilità di riutilizzo delle macchine in altri ambienti lavorativi.
Uno dei limiti dei robot collaborativi è legato alle portate e alla velocità di esecuzione dei cicli di lavoro, per cui al robot collaborativo in quanto tale vengono affiancate delle soluzioni con cui è possibile, tramite apposita sensoristica, monitorare le aree di interferenza tra il robot e l’operatore e sfruttare perciò le massime performance del robot stesso quando l’operatore è comunque in area di sicurezza. Al termine “collaborativo” si stanno associando anche altre situazioni relative al co-working, nell’ambito delle quali un robot standard viene immesso in un ambiente dove dei software d’intelligenza artificiale e particolari terminali di movimentazione del robot consentiranno ad operatori, anche non a conoscenza dei linguaggi di programmazione del robot, di far eseguire alle macchine operazioni anche complesse, rimanendo in un’area di sicurezza e quindi non a fianco del robot. Ciò permetterà di gestire l’applicazione di questi concetti per robot con portata da 2 kg fino alle portate massime di 1.500-2.000 kg.
La proposta di Kawasaki Robotics, di cui Tiesse Robot è partner commerciale fin dal 1992, si articola già nella produzione di un robot a doppio braccio denominato Duaro 1, compatto e montato su un carrello mobile, contenente anche l’unità di controllo dei due bracci robotizzati. Altre novità arriveranno nella seconda parte dell’anno. Oltre ad ampliare la gamma dei robot collaborativi, il colosso nipponico intende sviluppare in parallelo un concetto di coworking tra robot e operatore denominato “Successor”, basato sull’abbinamento ai robot dei dispositivi di guida remota e dei pacchetti d’intelligenza artificiale che permettono agli operatori specializzati di trasferire i propri skill ai robot stessi. Va sottolineato inoltre il fatto che due colossi come Kawasaki Robotics e ABB abbiano siglato un accordo di collaborazione per lo sviluppo congiunto di protocolli di sicurezza e comunicazione da utilizzarsi nell’impiego dei robot collaborativi, il che permetterà di tracciare la base per nuovi standard di sicurezza. (Maurizio Ravelli)
UN UTENSILE INTELLIGENTE
La robotica collaborativa è senza ombra di dubbio una rivoluzione, soprattutto per il modo in cui s’intende il rapporto uomo-macchina per l’automazione dei processi. Un robot collaborativo, infatti, non è solo una macchina, ma lo possiamo definire un reale utensile intelligente a disposizione degli operatori. Ed è proprio il “connubio di intelligenze”, quelle creative e di problem solving dell’uomo – inarrivabili per una macchina –, e quelle tecnologiche del robot collaborativo, a rappresentare la reale innovazione introdotta dai cobot. Due mondi ritenuti per decenni lontani, per certi versi intangibili, oggi non solo sono in contatto, ma lavorano insieme, gomito a gomito.
A parer mio l’uso dei cobot apporterà un’evoluzione paragonabile a quella introdotta dai PC o dagli smartphone. Strumenti da cui, peraltro, la robotica collaborativa, specie quella di Universal Robots, prende spunto, a cominciare dalla facilità e immediatezza di utilizzo. In Universal Robots misuriamo ogni giorno come la robotica collaborativa sia in grado di generare posti di lavoro. Il motivo è semplice ed è racchiuso nell’aggettivo “collaborativo”, cioè pensato e prodotto per “lavorare con”. I prodotti UR sono progettati per affiancare l’uomo e sono molto semplici da utilizzare, abbattendo praticamente ogni barriera all’automazione. Considerando la loro dimensione compatta e la grande flessibilità operativa e applicativa che garantiscono, sono dunque in grado non solo di alleviare l’uomo dai compiti più pesanti e ripetitivi – introducendo produttività ed efficienza nei processi, fattori che aumentano la competitività delle aziende, ma anche di progettare nuove soluzioni a problemi vecchi, o nuovi modi di produrre e affrontare le sfide. Questo genera due risultati: nuove professioni e nuove competenze, oltre a una crescita delle aziende. E con essa, come detto prima, nuove assunzioni. Questa è la realtà che vediamo attorno a noi ogni giorno.
Quanto detto in merito all’innovazione introdotta dai cobot e alla generazione di nuovi posti di lavoro è tale quando la tecnologia è davvero collaborativa o, come diciamo in UR, collaborativa a 360 gradi. Ed è questo essere “collaborativi a tutto tondo” a differenziarci dagli altri. Mi spiego ponendo una domanda: un robot è davvero collaborativo se richiede barriere perimetrali che vincolano il layout produttivo, se necessita di integrare ulteriore hardware o software per svolgere le proprie funzioni, se ha scarsa flessibilità applicativa e operativa perché non si sposta facilmente nei reparti o è difficile da programmare?
Per noi di UR, no. Ecco perché i nostri cobot sono l’opposto del robot tradizionale o del robot “cobotizzato”, cioè reso collaborativo con l’aggiunta di tecnologie extra. I nostri cobot sono leggeri, funzionano con 220 V e consumano meno di un asciugacapelli, sono Plug&Play nei reparti perché non necessitano di barriere di protezione (previa analisi dei rischi) e possono essere spostati da un’applicazione all’altra senza alcun problema, garantendo una flessibilità operativa senza precedenti. In più sono facili da installare e programmare, anche per chi non ha mai visto un robot prima. La differenza è qui. Essere o non essere “davvero collaborativi”. (Alessio Cocchi)
Alessio Cocchi, Sales Development Manager Universal Robots Italia.
VERSO L’“UMANOTRONICA”
Con l’avvento di Industria 4.0, abbiamo assistito all’affermarsi della robotica collaborativa. L’utilizzo di cobot consente di ampliare il tradizionale range di applicazioni, facilitando l’impiego anche in mercati diversi da quelli tradizionalmente interessati ai robot. I cobot favoriscono, inoltre, un approccio completamente nuovo ai layout degli impianti: la possibilità di lavorare fianco a fianco all’operatore umano in un ambiente di lavoro sicuro, grazie a specifiche tecnologie di rilevamento che arrestano il robot in caso di contatto con l’uomo, rende superfluo predisporre celle e dispositivi di sicurezza dedicati. Essendo pensati per applicazioni caratterizzate da esigenze di bassi payload ma elevata precisione, genericamente si presentano con dimensioni minori rispetto ai robot tradizionali, hanno assi più sottili e motori ridotti: di conseguenza sono meno ingombranti e permettono di risparmiare spazio. Infine, il cobot può essere installato e spostato molto facilmente, tramite piattaforme mobili, per operare in diverse stazioni di lavoro.
Per garantire la sicurezza nel lavoro in compresenza con l’uomo, i cobot si muovono ad una minore velocità, ma questo non va a incidere sulla produttività all’interno dei sistemi produttivi. Allo stesso obiettivo contribuisce il fatto che, a differenza dei robot tradizionali, non si tratta di robot specializzati in un’unica attività, in quanto gli utensili montati sull’ultima flangia possono essere sostituiti spesso e rapidamente. A partire dagli ultimi mesi del 2017, Yaskawa ha reso disponibile anche sul mercato italiano il cobot Motoman HC10, pensato per applicazioni high level: in questo modo, si assiste ad un avvicinamento fisico e “sociale” tra uomo e macchina, un passo importante verso la cosiddetta “umanotronica”, ovvero il miglioramento dell’interazione uomo/macchina focalizzato sul fattore umano. Dotato di 6 assi, uno sbraccio di 1.200 mm e una portata di 10 kg, il robot collaborativo HC10 rappresenta la nuova generazione della robotica: capace, accessibile, versatile e facile da usare. Ma c’è anche un’ulteriore peculiarità: nel caso in cui la collaborazione con l’uomo non sia l’eccezione, il software di Motoman HC10 ne permette un uso più affine a quello del robot industriale standard. (Alessandro Redavide) ©ÈUREKA!
Alessandro Redavide, Marketing & Communication Manager di Yaskawa Italia.
L’operatore umano rimane al centro della produzione anche con l’avvento dei cobot.